Antonia Pozzi e gli uomini di montagna



Emilio Comici, maestro e guida di Antonia Pozzi

 

Antonia Pozzi, nel gennaio 1936 si trova – meritata vacanza dopo la discussione della tesi di laurea – a Misurina, con l’amica Lucia Bozzi. Si è iscritta, infatti al corso di sci (che era scialpinismo, naturalmente) del famosissimo alpinista Emilio Comici, che le fa da istruttore, come veniamo a sapere dalla sua lettera ai genitori del 2 gennaio: «[…] nei giorni come questo faccio la brava scolaretta e prendo lezioni di sci da Comici. Che è bravissimo e pazientissimo. Credo che finalmente imparerò il cristiania. La stanza dove dormo con la Luci è bellissima, la compagnia ottima: conosciamo tutto l’albergo».

Nella seconda metà degli anni Trenta, Comici è un mito tra gli arrampicatori italiani. Nato a Trieste nel 1901, è il primogenito di una famiglia modesta. Dopo le scuole medie, viene assunto come impiegato nei Magazzini Generali del porto triestino. Sfugge di un soffio alla chiamata alle armi (al termine della guerra mancano pochi mesi alla sua maggiore età). Fin da preadolescente si è molto dedicato all’atletica, presso il Ricreatorio Pitteri. Ma i ricreatori possono essere frequentati solo da minorenni. Al compiere 18 anni, il gruppo di giovani che frequenta fonda l’Associazione sportiva “XXX ottobre” (il giorno in cui Trieste era stata liberata dall’occupazione austriaca). Alla “XXX ottobre” si esercita ancora nella ginnastica attrezzistica e poi soprattutto nel gruppo speleologico. Nel 1922, frattanto, muore la sorella Lucia, cui Emilio è legatissimo.

L’amore per la montagna giunge piuttosto tardi, nel 1924, proprio durante un’uscita speleologica; è una folgorazione e nel giro di qualche anno le montagne colmeranno l’intero suo tempo libero. Con altri alpinisti del CAI di Trieste, inventa una scuola di alpinismo in Val Rosandra. Nel 1932 si licenzia dai Magazzini Generali, deciso a fare della guida alpina il suo lavoro; tra il 1932 e il 1938 a Misurina, e poi fino al 1940 a Selva di Val Gardena.
Tra fine maggio e i primi di giugno del 1933 giunge anche in Grigna, invitato da Mary Varale, dove conosce i lecchesi che si stanno facendo le ossa e che da lui impareranno molti trucchi. E porta a termine quattro “prime”: sullo Zuccone Campelli, sulla Torre Grigna, sulla Torre e sul Corno del Nibbio, le prime tre proprio con Mary.     

Il carnet delle sue audaci “prime” è impressionante e in quegli anni di nazionalismo, il Regime lo esalta a scopo propagandistico. Però davvero lo stile di Comici fu una rivoluzione. Dino Buzzati, in un epico articolo sul “Corriere” ha lasciato scritto: «Le complicate e apparentemente sofisticate manovre – questo era soprattutto meraviglioso – Comici le eseguiva con una eleganza, con una leggerezza e armonia di movimenti da incantare. Lui stesso – era animo sensibilissimo, suonava bene il pianoforte, lo si poteva definire un intellettuale della montagna – considerava l’arrampicamento come una vera e propria arte. Tale, in ogni modo, egli la rese. Dopo averlo visto innalzarsi con la levità di un grazioso insetto, su per gli strapiombi, tutti gli altri arrampicatori, anche bravissimi, apparivano al confronto dei goffi e pesanti scimmioni». E, delineando qualcosa del suo intimo, quasi a correggere qualche posa istrionica nelle centinaia di fotografie che lo ritraggono, aggiunge: «Non era spensierato […]. Comici era anzi uno degli uomini più profondamente malinconici che si possano incontrare sulla terra».

  

Dunque Antonia conosce il mito – che chiamano anche l’“Angelo delle Dolomiti” – nei primi giorni del 1936. Sappiamo bene che non è digiuna della tecnica sciistica, già perfezionata dalle molte escursioni con lo Sci Club del CAI Milano e dalle lezioni con Oliviero Gasperi a Madonna di Campiglio.
Di quei giorni le foto riportano la salita al Monte Piana e quella al Rifugio Principe Umberto alle Cime di Lavaredo. Un’altra, del mese di febbraio, la ritrae in Alta Val Popena.
Tra le guide alpine che ha conosciuto, a Comici riserva un posto del tutto particolare. A lui dedica due liriche nominatim, cosa che è un unicum nella poesia della Pozzi. Nella prima delle due, A Emilio Comici, che risale proprio a questi giorni (16 gennaio 1936) si nota quasi una sorta di immedesimazione nel fortissimo scalatore. Non certo un confronto tecnico, ma il fascino della grande umanità e anche della concezione non tanto sportiva quanto interiore dell’alpinismo. Ecco, ad esempio, come Emilio ne parla nel suo libro Alpinismo eroico (Vivalda, 1995): «Ho detto prima che Preuss e Dülfer erano artisti, e lasciatemi aggiungere “artisti grandi”. Qualcuno obietterà, dicendo che per salire sulla roccia non occorre l’arte, ma soltanto il fegato. No! Saper ideare la via più logica ed elegante per attingere una vetta disdegnando il versante più comodo e più facile, e percorrere questa via in uno sforzo cosciente di tutti i nervi, di tutti i tendini, disperatamente tesi per vincere l’attrazione del vuoto e il risucchio della vertigine, è una vera e qualche volta stupenda opera d’arte: vale a dire il prodotto dello spirito e dell’estetica».

Ipotizzo che anche l’origine cittadina di Comici (il primo tra i grandi arrampicatori italiani a non essere nato nelle valli alpine) avrà potuto rafforzare questa comunanza. E infatti la poesia è tutta giocata su questo prescindere dalla propria città e dal suo mondo di affetti per restarsene inchiodato dal tramonto allo strapiombo.


    A EMILIO COMICI

     Mille metri
     di vuoto:
     ed un pollice di pietra
     per una delle tue
     suole di corda.


    Ti ha inchiodato il tramonto  
allo strapiombo.

 
    A quest’ora la tua città
    coi vetri in fiamme abbacina le barche.
    Dove hai lasciato le tue vesti,
    i volti
   delle ragazze, i remi?


   Questa notte al bivacco
   nubi bianche
   si frangeranno sulla pietra
   mute:
   così lontano il tonfo dei    marosi
   sul molo di Trieste.

 
   Né la luna
   disgelerà giardini, chiaro riso
   di donne intorno ad un fanale,
   o tepido
   sciogliersi di capelli,

                                                                       
   ma te solo                                                                     
   vedrà
   alla tua fune
   gelida avvolto –
   ed il tuo duro cuore
   tra le pallide guglie.

 


Precedente di qualche giorno (11 gennaio) la poesia Salita, anch’essa riferita a Comici:

   

    Questa tua mano sulla roccia     
    fiorisce:
    non abbiamo paura del silenzio.

    Immenso grembo
    la valle spegne l’ansia
    di lontane valanghe
    fumo lieve
    sulle pareti nere.

    Si accendon le tue dita sulla pietra
    alte afferrando
    orli di cielo bianco:
    non abbiamo paura del deserto.

    Andiamo verso il Sorapis:
    così soli
    verso l’aperto
    altare di cristallo.

 


Mi pare abbia particolare rilievo il v. 3: «non abbiamo paura del silenzio». Vi è un forte nesso tra silenzio e ascolto e sguardo: attitudini dell’anima contemplativa. Il termine, frequente e centrale già nelle primissime liriche, sarà anche l’ultima parola dell’ultima lirica di Parole, anch’essa dedicata allo scalatore Per Emilio Comici, accostato a un aggettivo di forte carica positiva: «favoloso». Silenzio inteso in senso “mistico”, ma anche in quello di comprensione profonda.

 

Alla scuola di sci e alpinismo di Emilio Comici di Misurina, Antonia torna nel febbraio del 1938. Pochi mesi prima (2 settembre 1937) Comici aveva messo a rumore il mondo alpinistico ripetendo da solo la sua via alla parete Nord della Cima Grande di Lavaredo. Quella via che quattro anni prima con i fratelli Dimai gli aveva richiesto due giorni, ora la ripete in meno di quattro ore. L’eco sulla stampa è davvero grande, ed in effetti l’impresa lo merita: si tratta della prima ascensione solitaria su una lunga via di sesto grado.
Parla di tre escursioni lunghe, citando però solo quelle a Monte Piana e alla Forcella di Lavaredo. Ecco cosa scrive alla madre:
«Quanto all’alpinismo, finora ho fatto tre sole gite lunghe: quella di ieri alla Forcella di Lavaredo, una cosa abbagliante. Poi altri giretti brevi e sempre la scuola sul campo, alla quale da tre giorni gli uomini partecipano a torso nudo e noi con addosso il minimo indispensabile, come al mare. E pensa che siamo quasi a 2000 metri!».

 

Intanto i presentimenti di guerra si fanno più cupi. Antonia si dibatte tra momenti di crisi (si moltiplicano gli accenni alla morte, già rintracciabili negli anni precedenti) e di una serenità che sembra riconquistata. Uno di questi è rappresentato dalla sua ultima estate in montagna, ancora a Misurina e ancora con Comici. Sono gli ultimi mesi del grande scalatore a Misurina; in novembre assumerà il ruolo di direttore dei maestri della scuola nazionale di sci della Val Gardena e, poco dopo, il ruolo di commissario prefettizio. A lui Antonia dedica una seconda lirica, Per Emilio Comici, datata 7 agosto 1938:

 

Si spalancano laghi di stupore
       a sera nei tuoi occhi
       fra lumi e suoni:

 

s’aprono lenti fiori di follia
       sull’acqua dell’anima, a specchio
       della gran cima coronata di nuvole…

 

Il tuo sangue che sogna le pietre
       è nella stanza
       un favoloso silenzio
.

 

La vita di Emilio Comici ha termine non molti mesi dopo quella di Antonia. Lui, che aveva rischiato infinite volte su pareti terribili, morirà per un banale incidente facendo salire un’amica su una banale paretina di allenamento nei pressi di Selva di Val Gardena. Tragedia che colpì i moltissimi estimatori, che ne conoscevano bene le capacità di autoassicurazione e la sua ben nota prudenza.

A tutt’oggi è considerato uno dei più grandi ed eleganti rocciatori di sempre.

 

                                               Marco Dalla Torre

 

 

IL GRINZONE n. 53