Un legame oltre le distanze

  



  

UN LEGAME OLTRE LE DISTANZE

I doni degli emigrati pasturesi in Sicilia, Roma e Venezia

alle chiese del paese d’origine


Anche Pasturo, come altri paesi della Valsassina, fu toccato nei secoli passati dal diffuso, quanto ancora poco indagato, fenomeno sociale della emigrazione, dovuto alla esigenza di trasferirsi altrove in cerca di un lavoro più redditizio o di una vita migliore ma spesso per sopravvivere alle difficili condizioni locali.

L’emigrazione pasturese, documentata fin dal XVI secolo, ebbe soprattutto come destinazione la città di Venezia con la sua Repubblica, tanto da essere la meta più ‘gettonata’ dal grosso del flusso migratorio non solo pasturese ma anche valsassinese (si pensi, tanto per fare un esempio, al caso della vivace e numerosa colonia premanese a Venezia, indagata di recente da Enrico Ratti Taparéi, discendente da una famiglia di fabbri e ramai trapiantata nella città lagunare dalla seconda metà del Cinquecento). 

  

Altre mete dell’emigrazione valligiana furono terre più o meno lontane: Bergamasco, Bresciano, Torino, Roma, Napoli e, nel caso specifico di Pasturo, anche la Sicilia, un fatto per nulla consueto. Lo spostamento di emigrati dalla Valsassina nel regno di Sicilia è, infatti, allo stato attuale delle ricerche, una prerogativa esclusiva di Pasturo, mentre è ben attestato sulla sponda occidentale del Lario, dove in quasi tutte le chiese altolariane sono custodite preziose suppellettili sacre in oro e in argento (calici, ostensori, crocifissi, reliquiari), oltre alle cosiddette “gioie” portate da Palermo (gioielli devozionali, come corone del rosario, nonché monili d’oro e d’argento, come anelli, orecchini, fibbie ecc.) custodite con cura nelle varie famiglie.       

documentare l’emigrazione valsassinese, oltre a testamenti e a dispense matrimoniali, sono proprio questi preziosi donativi che gli emigranti inviavano alle rispettive parrocchie per attestare la salda e costante presenza di legami con il proprio borgo identificato idealmente con il “campanile”. Le donazioni in generale, quando non finanziavano la costruzione o la ristrutturazione di chiese intere, erano finalizzate all’acquisto di suppellettili per il servizio liturgico, con prevalenza di argenti, come calici, pissidi, ostensori, servizi d’altare (candelieri e croci, reliquiari, coperte di messale, turiboli e navicelle), che consentivano, per le loro dimensioni relativamente contenute, facilità ad essere trasportati anche a distanze notevoli.

              

Una delle testimonianze artistiche più antiche del flusso migratorio da Pasturo nel regno di Sicilia nel Cinquecento è rappresentata da una tanto preziosa quanto rara coppia di raffinati elaborati argentei, un vero e proprio unicum nel panorama delle argenterie sacre valsassinesi. Si tratta di un servizio per l’incensazione, cioè di un turibolo e della relativa navicella, contenitore per i grani d’incenso così denominato per la sua forma a nave, con allusione alla Chiesa, “nave” che conduce alla salvezza (figg. 1-2). I due elaborati furono realizzati in stile gotico da un abile argentiere della città di Palermo, come si evince dalla iscrizione incisa, su quattro righe, sulla superficie di uno dei due coperchi della navicella: “HOC . TVRIBVLVM / ET . NAVETAM . FECIT / COMUNIS . PAROCHIE / PASTVRIO HABITÃS . IN / RENGO (sic) . SCICILIE (sic) 1577” (fig. 3). Sempre di fattura siciliana sono anche le due custodie destinate a contenere i due sacri argenti: si tratta di due elaborati in cuoio lavorato e decorato, abbellito da sottili fregi dorati impressi a punzone a caldo, lungo i bordi (fig. 4).

                           

Oggetti d’arte dalla Serenissima attestano l’emigrazione pasturese a Venezia. Tra le argenterie sacre veneziane la parrocchia di Sant’Eusebio possiede una croce astile che reca sul nodo l’epigrafe: “FATA DE CARITA DE DEVOTI ABITANTI IN VENEXIA (sic) 1757” (fig. 5); l’elaborato reca pure due tipi di punzonature: il ‘leone in moleca’ e la marcatura di controllo del ‘Sazador in Zecca’ Zuan Piero Grappiglia (le lettere P G separate da un giglio araldico), in carica per la verifica degli argenti fra il 1757 e il 1802. La stessa iscrizione con la data 1757 e gli stessi punzoni si rilevano su un servizio di due cartegloria, cioè di incorniciature atte a esporre sull’altare fogli scritti o stampati con testi invariabili della messa, per facilitare la lettura al sacerdote impossibilitato a leggere il messale in momenti particolari del rito (figg. 6-7). Sulla cartagloria centrale è effigiata sulla sommità un’immagine di Sant’Antonio di Padova di cui i pasturesi erano particolarmente devoti.


                    58 Fig9     58 Fig10


Nella chiesa della Madonna della Cintura la cappella laterale sinistra è dedicata per l’appunto al Santo patavino. Da segnalare nella medesima chiesa è anche una lampada pensile sulla quale è riportata la scritta: “ANNO 1748 / FATA / DI ELE / MOSINE / RACOLTE / DA DEVO / TI ABBI / TANTI IN / VENEZIA” (figg. 8-9-10). Si notano, ripetute, le marcature con il ‘leone in moleca’ e il contrassegno del ‘Sazador in Zecca’ Zuanne Premuda (le lettere Z P separate dal profilo di un volatile).

E per finire a documentare l’emigrazione pasturese a Venezia è un cucchiaino d’argento fuso che riporta sul verso l’iscrizione “1751 / VENETIA” relativa alla data e al luogo di esecuzione dell’opera e sul diritto l’effigie di Sant’Antonio di Padova (figg. 11-12)

Altre argenterie sacre di fattura veneziana sono state recensite in altre parrocchie della Valsassina: Cortenova, Introbio, Primaluna e Taceno. 
L’emigrazione pasturese a Roma è documentata, come ci riferisce l’Orlandi, da “un ricco piviale di seta rossa e d’oro, di origine romana, come attesta il cartiglio intessutovi: Romanorum pietas”.

In conclusione, questi doni hanno un intrinseco valore religioso; sono un’espressione di identità espressa attraverso l’attaccamento affettivo alle proprie origini e al gruppo sociale di provenienza; e sono testimonianza di un forte senso di partecipazione con l’aggregazione in confraternite in vista di un sostegno reciproco.
Con queste brevi note si è voluto incominciare a valorizzare e far conoscere questo prezioso patrimonio di fede e di arte in vista di uno studio più approfondito sul fenomeno dell’emigrazione, a cui sono legati secoli e secoli della nostra storia, con una inevitabile ricaduta anche sulla valutazione delle nuove emigrazioni oggi nel mondo.

 

                                                                                                    Marco Sampietro


Riferimenti bibliografici

 

 

Sull’emigrazione pasturese

Angelo Borghi, I paesi della Grigna. Episodi dello sviluppo di Pasturo, in Andrea Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Comune di Pasturo, Pasturo 1995, pp. 327-332.

Andrea Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Comune di Pasturo, Pasturo 1995, pp. 62-68.

 

Su argenti e suppellettili liturgiche 

Paola Venturelli, Splendori al Museo Diocesano. Arte ambrosiana dal IV al XX secolo, catalogo della mostra a cura di Paolo Biscottini (Milano 2000), Milano 2000.

Oleg Zastrow, Antiche e sconosciute argenterie veneziane a Taceno, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXXV, dicembre 2012, pp. 37-49.

Oleg Zastrow, Antichi cuoi lavorati e decorati. Un patrimonio artistico derelitto e ignorato, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXIX, ottobre-dicembre 2006, pp. 47-63.

Oleg Zastrow, Antichi e unici argenti siciliani in Valsassina. La confutazione di errati giudizi storico-artistici sugli argenti di Pasturo, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XXVIII, aprile-giugno 2005, pp. 43-53.

Oleg Zastrow, I due unici argenti siciliani presenti nelle parrocchie del Lecchese. Chiarimenti e aggiornamenti critici, in Il tesoro dell’isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, 2 voll., a cura di Salvatore Rizzo, catalogo della mostra a Praga, Maneggio del Palazzo Wallestein (19 ottobre-21 novembre 2004), Catania 2008, vol. I, pp. 86-93.

 

IL GRINZONE n.58 

 

 

Giobbe Marazzi, parroco di Pasturo

 



 

GIOBBE MARAZZI, PARROCO DI PASTURO DAL 1640 AL 1667

Un prete colto, amante dell'arte e dei libri, amico di artisti e vescovi*

 

Il 10 aprile 1640, all’età di 46 anni, moriva a Pasturo, compianto da tutto il popolo, prete Pietro Platti, figlio di Francesco e di Maria Elisabetta Marchioni. “Adi 10 Aprile” <1640 moriva> – si legge nel registro dei defunti della parrocchia – “il m(olto) r(everendo) Sig(no)r P(rete) Pietro Platti curato vigilantis(si)mo, con pianto e dolore grandis(si)mo di tutto il suo povero popolo sapendo benis(si)mo e conoscendo la gran p(er)dita che faceva”. Era dal 1626 che il Platti reggeva con molto fervore e zelo la cura d’anime del paese ai piedi della Grigna. I suoi quasi quindici anni di ministero sacerdotale furono segnati da eventi sia fausti che infausti: promosse da una parte l’ampliamento e la decorazione della parrocchiale di S. Eusebio che venne solennemente consacrata il 5 luglio 1628 dal vescovo di Bobbio, mons. Francesco Maria Abbiati; visse dall’altra uno dei momenti più travagliati e drammatici della storia del paese, quello della letale epidemia di peste del 1629-30 che, contrariamente a quanto asserito dal Manzoni, ridusse di oltre la metà il numero dei suoi fedeli, provocando il decesso di ben 432 vittime, come risulta dal registro dei morti compilato con gran diligenza dallo stesso parroco.Alla morte di prete Platti fu dunque nominato curato di Pasturo prete Giobbe Marazzi che si insediò con istrumento del 3 giugno 1640, rogato a Lecco da Giovanni Battista Corno dei Longhi, notaio a Castello. Il Marazzi discendeva da una delle più antiche e nobili famiglie di Narro, dove nacque il 23 luglio 1605. Suo padre si chiamava Giovanni e sua madre era Maria Pedrassi da Nesso. Fu “assai pio e benigno”, ascritto fra gli Oblati, come altri valsassinesi tra cui meritano di essere menzionati Marco Aurelio Grattarola di Margno, che fu il postulatore della causa di canonizzazione di S. Carlo (1610), nonché il compaesano Ambrogio Torriani che salirà nientemeno che al soglio episcopale della diocesi comasca che reggerà dal 1666 al 1679. Dal 1633 il Marazzi esercitò il suo ministero sacerdotale nel paese natio dove, tra l’altro, nel 1658 fondò nella chiesa parrocchiale di S. Martino la cappellania della B.V.M. del Rosario nell’omonima cappella, sede della confraternita eretta nel 1576. Eletto poi parroco di Pasturo, vi morì il 31 gennaio 1667 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale. “L’anno mille sei cento sessanta sette Adi trentuno Genaro” – si legge nel registro dei morti – “si e data sepoltura al q(uondam) m(o)l(t)o Rev(eren)do Sig(nor) P(rete) Job Marazzi Curato già di Pasturo con l’intervento de Sacerdoti n° 15 havendo riceuto tutti li santi Sac(ramen)ti bisognosi et racomandatoria d’anima”. Prete Marazzi assegnò cento scudi alla chiesa pasturese che dotò, nel 1645, di molte reliquie (ben 24), fatte venire da Roma ed estratte dalle catacombe di S. Callisto, nonché donò alla parrocchia un quadro ad olio raffigurante il patrono S.Eusebio a mezza figura con mano alzata in segno di benedizione che ora si trova nella terza campata della chiesa parrocchiale.
Oltre che essere un sacerdote pio e ben voluto da tutti, prete Marazzi fu, al pari di altri suoi ‘colleghi’ come l’arciprete di Morbegno, Giovanni Battista Castelli di Sannazzaro, un colto nobile ecclesiastico, ben inserito nel clima culturale e artistico milanese del maturo Seicento, come dimostrano la sua quadreria e la sua ricca biblioteca che illuminano sui gusti artistici del personaggio, sulle sue conoscenze e sui suoi rapporti personali. Nell’“Inventario delle robbe esistenti nella sua casa al momento della morte” (Archivio Parrocchiale di Indovero, Fabbrica, serie 1.6.1.1.1., cart. 8, fasc. 1), sono elencati, in modo estremamente generico, numerosi quadri che, allo stato attuale delle conoscenze, risultano in gran parte andati dispersi. Nella sala c’erano, tra i beni mobili e immobili, ben 24 quadri tra grandi e piccoli, e segnatamente: “un S. Antonio di Padoa, una Madonna, un altro della Madonna e S.Gioseffo, S.Gio(vanni) Batt(ist)a, S.Agnese, il Sig(no)re e S.Pietro, S.Gieronimo, una Madonina, un Volto S(an)to, una Madonna con il figlio, S(anc)ta Cattarina […], Agnese grande, S.Eusebio, il card. Fed(erico), una Madonna indorata, il mio ritratto, un Annontiata, un S.Steffano, una Madonna con il figlio e S.Gio(vanni) indorata, una Madonna longa, un S.Job, una Madonna picciola, una Madonna con il figlio e due s(anc)te”. Nella camera da letto si trova l’indicazione di un “quadretto della Madonna, un quadro di S(acn)ta Maria Maddalena, di S.Agata, di S.Cattarina da Siena, una Madonna, un S.Martino, una Madonna e il Signore […] un quadro della Madonna, et uno di S. Vittore. […] il quadro della Concezione”. Anche se privi di indicazioni attributive, alcuni dei quadri superstiti potrebbero essere senz’altro riconducibili alla mano di Luigi Reali (Firenze, 1602 – post 1660), artista girovago, molto attivo in Valsassina negli anni tra il 1643 e il 1660. Il pittore fiorentino lavorò in diverse chiese della Valsassina (Barcone, Barzio, Codesino, Margno, Pasturo, Premana) e fu amico dello stesso Marazzi che nel 1644 gli commissionò il proprio ritratto, firmato sul retro della tela con il monogramma “ALR” e corredato in alto dall’iscrizione: “P(res)B(yte)R JOB MARAZZIVS, OBLATVS, PAROCHVS PASTVRY ET BAIEDY AETATE 42 A(nn)° 1644”.
Questa tela, che si trova nella casa parrocchiale di S.Martino a Indovero, frazione di Casargo, non è l’unica testimonianza dell’attività ritrattistica del Reali: a lui, infatti, è assegnato su basi stilistiche anche il dipinto raffigurante il curato Giovanni Battista Torriani di proprietà della parrocchia di S.Giovanni Evangelista a Lecco, come recentemente supposto da Giovanna Virgilio (Aggiornamenti sulla ritrattistica di Luigi Reali con un breve accenno a una raccolta novecentesca di fotografie, in “Arte Lombarda”, fasc. 1, a. 2015, pp. 167-172). Oltre all’effigie del Marazzi, tra i numerosi quadri elencati nell’inventario, è sicuramente del Reali anche il ritratto del “card. Fed(erico)” che era conservato nella camera dello stesso prete valsassinese e che oggi è tuttora esistente nella casa parrocchiale di Indovero, nonché la bella Madonna col Bambino conservata ora sulla parete sinistra del presbiterio (sopra la porta che conduce in sacrestia) della chiesa di S. Rocco a Narro.
Oltre alla quadreria, il Marazzi, prete di buona cultura e di buona dottrina, si dedicò anche alla raccolta di libri. Non a caso nel ritratto realizzato dal Reali il presule si fece rappresentare con un volume in mano. La biblioteca del parroco Marazzi era composta da ben 148 volumi, sia a stampa che manoscritti, per lo più di contenuto religioso-dottrinale fatta eccezione per le opere di Virgilio (Bucoliche, Georgiche ed Eneide). Dei 148 volumi elencati nella “Nota de libri che io curato d’Indovero Domenico Merlino ho trovato, e riceuto in consegna dall’heredità del signor prè Job Marazzo” (Archivio Parrocchiale di Indovero, Beneficio 1.4.2., cart. 5, fasc. 9), allo stato attuale si sono conservate solo cinque cinquecentine e quattordici seicentine, come si legge nel Regesto dell’inventario dei documenti dell’archivio parrocchiale di San Martino di Indovero con Narro, compilato da L. Pelegatti nel 2004.

Prete Marazzi non fu soltanto amico di artisti come il Reali, ma fu anche intimo amico del vescovo di Como, il compaesano Giovanni Ambrogio Torriani, figlio di Giovanni Battista e di Apollonia Mascari di Cortenova, nato a Indovero il 23 novembre 1615. Quando fu eletto vescovo nel 1666, ci fu una gran festa in Valsassina: “12 novembre 1666. – ci riferisce Giuseppe Arrigoni nelle sue Notizie storiche (p. 327) - Più si mette per dinari spesi per aver comprato tanta polvere de schiopo per far honore et Reverenza al M. R. Off. Mons. Vescovo Toriano di Como, nativo della terra d’Indovere, figliolo q. s. Gio Batista Toriano et avemo fato un Gran Fallo (falò), cioè un focho grandissimo sopra il monte di Corine al piazolo de Vendola con tutti li homeni d’Indovere: monta in tutto L. 12-3”. E ancora: il Marazzi celebrò una messa “per ringraziar Dio per l’esaltazione al Vescovato di Como, di Mons. Torriano”, come si legge in un registro, con la data 30 agosto 1666. Devotissimo del vescovo, il Marazzi, morto nel gennaio 1667, gli legò la propria pelliccia di pelle di volpe, che venne consegnata effettivamente al destinatario: “La Pelliza di pelle di Volpe hà lasciato il suddetto Testatore che si dasse à Monsignor Ill.mo Torriano, et così si è data” (Archivio Parrocchiale di Indovero, Beneficio 1.4.2., cart. 5, fasc. 9).


                                                                            Marco Sampietro

 

* Un particolare ringraziamento va a Giovanna Virgilio che mi ha fornito preziosi consigli e mi ha gentilmente messo a disposizione la sua raccolta di fotografie realizzate in occasione di una ricognizione delle opere d’arte esistenti nel territorio lecchese, promossa negli anni sessanta del Novecento dall’allora Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Lecco.

 

IL GRINZONE n. 54



Pasturo e Baiedo ricordano i propri caduti

 



 

 PASTURO E BAIEDO RICORDANO I PROPRI CADUTI (e non solo)


Come già anticipato sull’ultimo numero di questo periodico, passeremo ora in rassegna, in ordine cronologico, i Monumenti ai Caduti che i comuni di Pasturo e Baiedo, al termine della Grande Guerra, eressero non solo per rendere omaggio ai propri soldati caduti perpetuandone così il ricordo, in una sorta di risarcimento postumo per un sacrificio spesso più imposto che voluto, ma anche per farsi portavoce di quei simboli collettivi tesi a cementare un’unità patria costruita intorno al mito della guerra e dei suoi eroi.

 53 caduti (3)


Il Monumento ai Caduti di Pasturo (1924)

È il 16° innalzato in Valsassina e venne inaugurato il 26 ottobre 1924, come si ricava dalla cronaca dell’inaugurazione trascritta sul Liber chronicus della parrocchia: “Dal giornale la sera 27 Ottobre 1924. Pasturo il ridente paesello della Valsassina ha inaugurato ieri il monumento ai Caduti. Fra una folla di convenuti dai paesi vicini le rappresentanze dei fasci, dei combattenti, dell’Associazione alpini e dell’eser-cito venne scoperto il monumento, squisita opera degli artisti, scultore Cirillo Bagozzi e architetto Ciapparelli, raffigurante un forte alpino in vedetta. Parlarono tra la reverente commozione i compaesani avv. Doniselli, mutilato di guerra, il colonnello Mazzoleni, l’avv. Pozzi ed il Consigliere Provinciale prof. Magni. La spesa totale fu di £ 28.535, di cui ben £13.500 furono date allo scultore per aver tratteggiato con linee chiare l’alpino in parola”.
Il monumento, inserito in un’area acciottolata delimitata da un cordolo, si trova sulla piazza antistante il palazzo comunale. Esso è costituito da un parallelepipedo in granito posto su un basamento a tronco di piramide sulle cui facce sono scolpiti una scritta commemorativa (RICONOSCENZA PERENNE / AI / NOSTRI FIGLI / CHE / ALLA GRAN GUERRA CHIAMATI / PER RIVENDICARE ALLA PATRIA / I CONFINI CHE NATURA POSE / IMPAVIDI / GLORIOSA AFFRONTARONO LA MORTE / 1915-1918) e i nomi dei 29 caduti pasturesi nel corso della Grande Guerra nonché quelli caduti nel corso della guerra di Libia del 1914, mentre sul dado della piramide sono affisse le lapidi con la scritta commemorativa e i nomi dei caduti della seconda guerra mondiale aggiunte il 4 novembre 1976.
Sopra il parallelepipedo è posta una scultura a tutto tondo raffigurante un alpino nell’atto di scrutare avanti a sé. La figura è in una posizione che, apparentemente statica, dà invece il senso del movimento: la gamba destra e il calcio del fucile poggiato a terra sorreggono il corpo; la gamba sinistra è arretrata rispetto al corpo e il braccio destro è alzato per portare la mano vicino al volto come per proteggerlo e per permettere allo sguardo di estendersi il più possibile; il volto è serio e l’abbigliamento da soldato è reso con molta precisione e realismo, la luce, che segue la superficie irregolare, conferisce movimento alla scultura. La statua in bronzo è opera del valente scultore milanese Cirillo Bagozzi (1890-1970) e il progetto è dell’architetto Abele Ciapparelli, entrambi soci della SEM (Società Escursionisti Milanesi).

 

Il Monumento ai Caduti di Baiedo (1927)

È il 19° innalzato in Valsassina e venne inaugurato domenica 30 ottobre 1927 alle ore 15. Fu, quella, per Pasturo una giornata di cerimonie: al mattino fu inaugurato il nuovo fabbricato dell’Asilo: presenti l’avv. Roberto Pozzi e il poeta chiavennasco Giovanni Bertacchi, oratore ufficiale, nonché don Angelo Maroni, fratello del defunto parroco, don Francesco; al pomeriggio “ebbero luogo con solennità ed entusiasmo le cerimonie inaugurali del Viale della Rimembranza e della lapide” ai Caduti di Baiedo. “Allo scoprimento della lapide ai Caduti di Baiedo, parlò entusiasticamente il Colonnello cav. Mazzoleni, ed ancora don Angelo Maroni, che con smagliante orazione improntata a vera italianità, inneggiò al Fascismo e al suo Duce auspicando per la Patria nostra le più alte fortune. Chiuse la laboriosa giornata inaugurale la cerimonia del battesimo alla nuova Casa Dopolavoro. Alla sera riuscitissimo concerto della Banda di Pasturo diretta dal valente maestro Torquato Frizzi di Lecco, ed una bella luminaria; mentre nella popolazione regnava il più schietto entusiasmo” (da “Il Prealpino”, 5 novembre 1927, p. 2).


                 


Il mon
umento, ubicato in piazzetta comunale, è costituito da un’edicola nella cui specchiatura trova collocazione un bassorilievo in marmo di Carrara raffigurante quattro militi che impugnano tutti insieme l’asta del tricolore con sullo sfondo una Stella d’Italia raggiante. Il disegno della scultura è opera del pittore Federico Sartori (1865 – 1938), “residente ora a Viareggio, dopo una lunga dimora nell’America latina ove per ben undici anni fu insegnante all’Accademia di Belle Arti a Buenos Ayres” (da “Il Prealpino”, 23 ottobre 1927, p. 2).
Lungo la strada che collega Pasturo con Baiedo si erge la cappelletta del ciös che è costituita da due cappellette unite da un’unica copertura a falda sovrastante la strada: sulla parete di fondo di una di esse è collocata una lapide in marmo bianco con borchie alle estremità con i nomi dei caduti della Grande Guerra. Sopra la lapide campeggia un affresco raffigurante S. Carlo in preghiera ai piedi della Madonna col Bambino.

               

Pialeral (1921)

Fissata su una grossa roccia nelle adiacenze del rifugio Pialeral si trova una bella lapide bronzea. Inaugurata il 17 luglio 1921 in occasione dell’ampliamento della omonima capanna costruita nel 1907, fu voluta dalla SEM per ricordare i soci caduti nel corso della Grande Guerra, come attesta l’iscrizione: “LA / SOCIETÀ ESCURSIONISTI MILANESI / CONSACRA / AI MASCHI COMPAGNI / MORTI PER L’ITALIA / QUESTE MURA OSPITALI / XVII LUGLIO MCMXXI”. Segue l’elenco dei nomi: “BARBIERI ALDO – BARBIERI MARIO / CAMERONI UGO – CASTIGLIONI PIETRO / CLERICI CORNELIO – CORRADINI CARLO / COVA NEMO – DONINI LAMBERTO / FANTAGUZZI OLIMPIO – LAVEZZI CARLO / LUCCHINI PIETRO – MARIANI ETTORE / MAZZOLARI OSVALDO – MOREO ARNALDO / PIAZZA EDILIO – RIMOLDI SALVATORE / SGOLMIN EMILIO – SCATTOLIN ALDO / TADINI DOMENICO – ZANINI ADRIANO / ZOJA PIETRO –ZOPPIS GIUSEPPE / MCMXXI”. 

La lapide è opera dello scultore milanese Cirillo Bagozzi, lo stesso che realizzerà il Monumento ai Caduti di Pasturo nel 1924, e presenta al centro un bassorilievo raffigurante una figura femminile nuda, una Vittoria alata, con lo sguardo rivolto verso l’alto e con le braccia spalancate che reggono una ghirlanda vegetale mentre ai suoi piedi è incisa la cresta di una montagna.
La cerimonia di inaugurazione avvenne il 17 luglio 1921
53 caduti (1)nella celebrazione del trentennio sociale della SEM. Dopo la messa da campo celebrata alle ore 10, 30 da don Francesco Maroni, parroco di Pasturo, seguì la cerimonia civile, che fu aperta dal Consigliere Dirigente Eugenio Fasana. Il discorso inaugurale e commemorativo, tutto pervaso di autentico spirito escursionistico, fu pronunciato dall’avv. Mario Porini. Terminato il discorso, “l’oratore strappò la bandiera che copriva la lapide in ricordo dei caduti, e il magnifico bronzo brillò al sole delle due Grigne. La lapide, come si sa, è opera veramente superba del nostro Socio, lo scultore Cirillo Bagozzi, che – sia detto a titolo di benemerenza – prestò l’opera sua gratuita d’artista […] il fedelissimo consocio Giuseppe Lajoujè generosamente si assunse la spesa di fusione della lapide stessa. Dopo l’ardente invocazione finale dell’avvocato Porini, soffocata la commozione degli ascoltatori, scrosciarono ripetute acclamazioni entusiastiche, appresso le quali Giovanni Maria Sala declamò alcuni versi di una sua composizione, intitolati “Ai nostri caduti”, riscotendo vivissimi applausi. Riprese ancora la parola Eugenio Fasana […] Sorse poi a parlare applauditissimo, Rodolfo Rollier per la Sezione Sciatori. La cerimonia ebbe il suo epilogo con l’applauditissimo Inno del Trentennio “In alto di più!...” che un gruppo di Soci intonò sotto la direzione dell’avv. Porini, accompagnati da una singolare filarmonica e sostenuti nella loro fatica canòra dalla potente e magnifica voce baritonale di Dario Zani e da quella robustissima di Chierichetti” (da “Le Prealpi”, a. XX, n. 8, agosto 1921, pp. 113-116; cfr. inoltre “Le Prealpi”, a. XX, n. 7, luglio 1921, p. 98. Ringrazio Enrico Barbanotti della Biblioteca “Ettore Castiglioni” della CAI-SEM per la segnalazione di questi due articoli).


                                                                                                                                                                                                      Marco Sampietro


IL GRINZONE n.53




Spigolature archivistiche

 



 

Spigolature archivistiche

VITA QUOTIDIANA E RELIGIOSA NELLA PASTURO DI META' SEICENTO ATTRAVERSO LE POSTILLE DI PRETE MARAZZI

 

Già sulle pagine di questo periodico abbiamo avuto modo di parlare di prete Giobbe Marazzi, parroco di Pasturo dal 1640 al 1666, mettendo in evidenza il suo alto spessore culturale: uomo amante delle lettere e dell’arte (vd. “IL GRINZONE”, XV [54 – marzo 2016], pp. 12-14).
Vogliamo ora soffermarci sul suo zelo pastorale che emerge in modo sia pure bonario e spontaneo dalle postille vergate di suo pugno sul registro dei morti della parrocchia che va dal 1640 al 1666. A ciò è da aggiungersi la testimonianza di prete Gerolamo Marchioni che in un opuscolo stampato più di cento anni dopo la morte del Marazzi e intitolato “Memoria sull’erezione della cappellania del SS. Rosario di Pasturo”, definisce prete Marazzi “benigno e caritatevole”, per contrapporlo al parroco Manzoni “superbo e intrattabile”.
Ma veniamo ora alle postille del registro che ci offrono spaccati di vita quotidiana e di attenzione pastorale nella Pasturo di metà Seicento.
Prete Marazzi non si limita, innanzitutto, a registrare le generalità del defunto e il suo status sociale e religioso (se confessato e comunicato, se ha ricevuto o meno il viatico) ma aggiunge spesso e volentieri informazioni relative al decesso e a tre annotazioni che denotano la sua premurosa cura d’anime.

 



Preoccupato com’è per la salvezza dell’anima dei suoi parrocchiani, prete Marazzi ci tiene a precisare ogni volta se il morituro ha ricevuto o meno il viatico ricorrendo all’espressione latina “habuit omnia sacramenta” (ricevette tutti i sacramenti). Ma ciò non è sempre stato possibile per i motivi più disparati. Ecco qualche esempio. Il 17 ottobre 1641 muore Domenica moglie di Giovanni Ticozzelli “quale ho confessato per forza e dato l’olio santo ma non si è voluta comunicare perché haveva paura di morire”. Il 4 maggio 1642 muore Eusebio Marchioni “il quale ha hauto l’olio santo dicendo che si sarebbe poi confessato” ma non si sa poi se l’abbia fatto. Il 19 febbraio 1645 muore “Helisabetta moglie di Ambrosio Bergamino confessata e comunicata in Chiesa dodeci giorni fà e poi l’hanno lasciata morir senza avisar altro”. Il 19 dicembre 1649 passa a miglior vita Caterina moglie di Domenico Prandi “confessata ma non si è potuta comunicar per haver un cattarro che non poteva ingiotire, l’ho confessata io otto giorni sono in chiesa ma non si è potuta comunicar, e poi alli 18 la confessò il Signor curato di Barsio in mia assenza essendo andato a confessar le Reverende Monache di Castello”. Nell’aprile 1650 prete Marazzi è a Milano al Concilio Provinciale e non può quindi celebrare l’ufficio da morto dei suoi parrocchiani morti in quel torno di tempo. A fine anno, il 25 dicembre, muore Ambrogio figlio di Calimero Voltolino: era un soldato, prete Marazzi lo confessò a letto ma non lo comunicò, cioè non gli fece fare la comunione “impedito dalla tosse ma dopo la messa di mezza note li corsi, li domandai se voleva reconciliarsi, disse di no, e mentre mandai a pigliar l’olio santo alla mia presenza il sudetto spirò”. E per finire, il 28 febbraio 1654 muore Antonio Orlandi: “lo confessai e poi alle cinque hore di notte li diedi l’olio santo essendo già fuori de sentimenti e così non l’ho potuto comunicare”.
A volte il mancato ricevimento del viatico era dovuto a forze maggiori, come, per esempio, a morti improvvise. Nel 1644 muore Pietro Pedrolo “di morte subitanea”, cioè improvvisa, forse di infarto. Il 20 aprile 1652 vengono celebrate le esequie di Dionisio Dioniso “morto di morte subitanea al fiumicello di Baiedo andando a Pra S. Pietro. Huomo da bene”. Il 24 maggio 1652 muore Simone di Simone Ticozzi “d’doi anni precipitato d’una scala”.
Prete Marazzi registra inoltre anche casi di morte violenta o di parrocchiani scomparsi e ritrovati morti dopo mesi, se non addirittura anni. Il 17 dicembre 1651 muore Francesco Cimpanelli “al quale essendoli stato tirato un archibugiata sopra i monti d’Acquate stete un pezzo al Hospitale d’Acquate dopo fu portato nella Chiesa di S. Jacomo dove subito io lo confessai, feci comunicare dal cappellano e stete in detta chiesa da doi mesi fino alla fine essendo esso sempre stato alieno da sacramenti, essendo più di tre mesi che non ero stato fori di casa di notte Iddio mi mandò al Cantello a confessar le Reverende Monache acciò io non vi fosse mentre morisse e così morse [morì] senza sacramenti”. Il 19 marzo 1649 viene celebrato il funerale di Battista figlio di Francesco Pomalli, “il quale è mancato sin del mese di luglio 1648 ne si è trovato morto se non nel mese di marzo 1649 sopra Barsio in quei sassi”. Il 13 febbraio 1650 fu “trovato morto nel monte di Pasturo da suo figliolo” Francesco Merlo. E ancora. Il 28 giugno 1654 Giovanni Marchioni “quale essendo mezzo amalato andò sopra il monte detto Monteno a lavorare, li venne un accidente e poi disse che li passava ma da lì a un pochetto cascò in terra morto senza pur poter dir parola”. Curioso è il caso di un membro della nobile famiglia gravedonese dei Canova detti Magatti morto il 12 maggio 1652 dopo aver trascorso una vita da eremita sui monti di Pasturo dando qualche segno di squilibrio mentale: “Signor Francesco Canova detto Magatto da Gravedona trovato morto alli 8 detto sopra il Monte di Pasturo quale io domenica passata lo viddi in chiesa divotamente con l’offitio in mano quale lo recitava et come intesi era fuori di sé che pattiva nel cervello ma era tutta matteria di devotione, si confessava spesso, voleva andar frate, faceva elemosine come poi mi fu scritto da Gravedona e si è sepelito con num. 11 di commissione de suoi Signori parenti”.
Prete Marazzi annota anche lo stato miserevole in cui versava la sua comunità parrocchiale quando non solo la nascita che rappresentava una bocca in più da sfamare ma anche la morte potevano diventare degli ostacoli economici insormontabili. È il caso di Angela, moglie del fu Battista Pomalli che, morta il 21 aprile 1642, fu “sepelita per amor di Dio et misso anco la cera per niente per esser suo figliolo tanto povero”.
Dalle postille di prete Marazzi emerge anche un altro dato importante per gli studi demografici: l’alto tasso di mortalità infantile e di morte per parto. Qualche esempio: Giovanna Caterina figlia di Clada Tedesco fraino (cioè “minatore”) di 3 giorni (22 agosto 1645); Domenico Bergamini di 15 giorni (12 marzo 1652); Antonia di Francesco Costadoni di 9 giorni (11 aprile 1652); Giovanna Lucia Orlandi di mesi 3 (24 agosto 1652); Giovanna Cimpanelli d’un anno (31 agosto 1652); Biagio figlio di mastro Bartolomeo Colombo di 15 giorni (1 settembre 1652).
A morire non erano solo i bambini appena nati ma anche le loro mamme nel darli alla luce: Giovanna di Rocco morta di parto il 13 ottobre 1663; Angela Merlo moglie di Ambrogio Costadoni morta il 24 agosto 1665; Caterina Canova moglie di mastro Cristoforo Colombo morta l’11 febbraio 1666.
Prete Marazzi infine registra anche i decessi di alcuni suoi parrocchiani che si trovavano a lavorare fuori paese, ad esempio a Venezia e a Roma, a dimostrazione della vasta corrente migratoria che interessò il paese ai piedi della Grigna dal Cinquecento all’Ottocento. A Venezia (“Venetia”) morirono mastro Pietro Pedrolo (16 settembre 1649), Simone Merlo figlio di Raffaele (13 maggio 1650), i fratelli Antonio e Carlo Arrigoni (4 settembre 1652), Ambrogio Colombo (18 febbraio 1652), “Gioseffo Arrigoni detto Ciapeto (o ciapero) morto in Venetia alli 21 luglio; si è cantata la messa et sonato” (agosto 1663). A Roma morirono il 13 ottobre 1649 Calimero Anesetti “essendo stato amazato alla storta” (la “Storta” è una zona di Roma nell’Agro Romano a nord-ovest della capitale, una antica stazione di posta lungo il tragitto della Via Francigena) e l’11 giugno 1651 Battista Bastianelli.

Leggendo queste postille si tocca con mano lo strato più profondo di una storia fatta di quotidiano. Un quotidiano che nasconde l’azione di Dio, misteriosamente mischiata a quella degli uomini, significata e donata in quei sacramenti frettolosamente annotati a margine.

 

                                                                                         Marco Sampietro


IL GRINZONE n. 56


 

La grande guerra nelle pagine del Liber chronicus

 



 

LA GRANDE GUERRA NELLE PAGINE DEL LIBER CHRONICUS

DELLA PARROCCHIA DI PASTURO

 

Qualsiasi ricostruzione storiografica, che richiede sempre un lavoro di confronto critico delle fonti, si basa sulla documentazione sopravvissuta al trascorrere del tempo: testimonianze dei protagonisti, tradizione letteraria, documenti, resti materiali, nonché fonti iconografiche, cioè immagini, che sono vere e proprie istantanee del flusso della storia, a volte più espressive di qualsiasi scrittura.
Questo discorso vale naturalmente anche per la
ricostruzione delle complesse vicende storiche legate alla Prima Guerra Mondiale di cui ricorre quest’anno il centenario dall’entrata dell’Italia in questo conflitto passato alla Storia anche come la Grande Guerra per il gran numero di nazioni e persone coinvolte. Tra i documenti scritti a disposizione (cronache, articoli di giornali, lettere dal fronte ecc.) costituisce una preziosa fonte di informazioni sulla vita della parrocchia di Pasturo durante quegli anni il Liber chronicus o libro Chronicon, una sorta di cronistoria nella quale il parroco annotava gli avvenimenti più importanti nonché le sue considerazioni. A redigerlo in quegli anni fu don Francesco Maroni (Primaluna, 8 settembre 1881 – 22 ottobre 1927), che resse la parrocchia di S. Eusebio dal 4 marzo 1915 al 22 ottobre 1927. Che sia un prete a guidarci nella riscoperta del nostro passato, non deve far specie né dispiacere: con i vantaggi e i rischi di tale posizione, fu di fatto in gran parte la Chiesa, anche nelle sue strutture locali, a conservare e tramandare la memoria di un’intera comunità.
Visto che il momento più bello, nelle storie, è quando il narratore, ritirandosi, lascia la parola ai personaggi - d’incanto, il passato riprende vita, come fosse presente - ascoltiamo dalla viva voce di don Maroni il racconto di quegli anni, uno spaccato della vita religiosa e civile: si intensificano le pratiche religiose (aumentano le Comunioni Pasquali, si prega per la pace, si sale in processione all’oratorio di S. Calimero; di contro vengono sospese tutte le altre consuete processioni come previsto dalle norme vigenti), si prega e si rende omaggio ai propri caduti, si condanna questa guerra come un’inutile strage.


1915

Mese di Maggio
Quest’anno, per la luttuosa circostanza dello scoppio della guerra europea e per la calda esortazione di Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo, fù celebrato il mese di Maggio tanto a Pasturo che a Baiedo, con la Benedizione del SS. Sacramento tutte le sere e con la predica a Pasturo tenuta dal vicario locale, e a Baiedo dal Rev. Coadiutore di Pasturo, D. Carlo De Vignani, e lodevolissima fù la frequenza dei fedeli alla pia pratica mariana. (p. 68)


Funzione propiziatoria
Il 15 Maggio, con l’intervento di un discreto numero di parrocchiani, venne fatta una processione all’oratorio di S. Calimero ai monti per la cessazione dell’immane flagello del conflitto europeo. Vi si cantò la S. Messa, si impartì la Benedizione con la reliquia del Santo e dopo breve sermone di circostanza, ancora processionalmente e col devoto canto di laudi sacre si fè ritorno alla parrocchiale. (p. 69)


Sagra di S. Calimero
Il
25 luglio si celebravano le consuete funzioni nell’oratorio di S. Calimero ai monti, tranne la processione che pel momento tragico che attraversiamo, cioè la guerra mondiale, convenne sospendere, in ossequio alle disposizioni ministeriali e di questa giunta municipale. (p. 70)


Suffragi pro martiri della Patria
Il 22 agos
to si celebrò, in chiesa parrocchiale, ufficio solenne pel militare Aliprandi Pietro di Carlo, di Pasturo, deceduto il 2 agosto, nell’ospedale militare di Cividale per gastro interite, febbre tifoidea, e bronco polmonite. Apparteneva al 157a fanteria. È il primo e più giovane soldato pasturese che, nel conflitto europeo, sua vita sacrificò per l’onore e libertà della Patria. Era un caro e bravo giovane, consolazione dei desolati genitori. Ne lesse l’elogio funebre un suo commilitone. Aveva 20 anni.

2°. Il 10 ottobre si celebrò pure ufficio solenne con processione al cimitero e due discorsi funebri, in suffragio del militare Stucchi Ilario di Napoleone, di Pasturo, il quale soccumbette, il 15 settembre, nell’ospedale di Cormons (Gorizia) in seguito a ferite riportate combattendo al fronte e per gastro interite. Aveva 22 anni e apparteneva al 34° fanteria, 15a compagnia.

3°. Il giorno 6 Novembre il soldato Invernizzi Francesco di Gaspare di Pasturo, moriva nell’ospedale da campo, in seguito a grave ferita arma fuoco. È stato sepolto nel cimitero di Vipulzano (Gorizia). Aveva preso parte a molti combattimenti in sul Carso, per la gloria e grandezza d’Italia. Apparteneva al 73a fanteria, 7a compagnia. In questa parrocchia se ne celebrò ufficio funebre il 17 novembre. Era un giovane esemplare.

4°. Il giorno 22 novembre, dopo un mese di febbre tifoidea, moriva con spirito di santa rassegnazione, nell’ospedale militare della Croce Rossa in Treviso, il bravo giovane soldato Bergamini Antonio di Giuseppe, di Pasturo. Era nato in Pasturo li 28 febbraio 1888 – era aggregato alla Croce Rossa – Se ne celebrò, in parrocchia, l’ufficio funebre domenica 12 dicembre, con discorso al cimitero. (pp. 71-72)


1916

2 febbraio.  Il M. Rev. Coadiutore locale D. Carlo De Vignani lascia la parrocchia pel servizio militare. Nonostante il diritto alla dispensa, non gli è concessa per falsa attestazione del ex Vicario Spirituale D. Antonio Manzoni. (p. 73)

30 giugno. Comunione generale dei fanciulli per la pace. Fra adulti e ragazzi, circa 300 persone si accostarono ai SS. Sacramenti. (p. 73)

3 settembre. Madonna della Cintura. Non si fece la solita processione dalla casa parrocchiale all’Oratorio di S. Giacomo, perché sospese le processioni in tempo di guerra. Cantò messa il M. Rev. D. Angelo Maroni; predicò il M. Rev. P. Eufrasio Spreafico Barnabita. (p. 74)


1917

2 settembre. Festa della Madonna della Cintura. Non fu fatta la processione, perché tempo di guerra. Predicò il M. Rev. D. Angelo Maroni. (p. 75)


1918
Pasqua.
Circa 750. Da notare che molti parrocchiani sono lontani dalla parrocchia pel servizio militare. (p. 77)


A questo punto il Liber chronicus si interrompe e riprende con l’anno 1924, precisamente con la sera del 24 ottobre, quando viene riportata, tratta da un giornale dell’epoca, la cronaca dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti di cui parleremo sul prossimo numero di questo periodico.

                             

                                                                      Marco Sampietro


IL GRINZONE n.52