Chiesa di Sant'Andrea: intervento conservativo

 



 

CHIESA DI SANT'ANDREA: intervento conservativo


DESCRIZIONE

La Chiesa di S.Andrea a Pasturo ha un impianto architettonico molto semplice ad un'unica navata rettangolare di dimensioni modeste in cui si evidenziano il volume della sacrestia a sud e la torre campanaria a nord. Gli ingressi sono due: uno principale posto sulla facciata ad est poco utilizzato, uno secondario posto sulla facciata Sud utilizzato.

La facciata a capanna, restaurata nel 19031 e che un tempo portava la dedicazione “DIVO ANDRE / APOSTOLO / DICATUM”2, è contraddistinta da un lunettone centrale tripartito e da due finestre rettangolari più piccole che affiancano il portone d’ingresso in legno. La facciata a sud è caratterizzata da tre aperture: una finestra rettangolare e un lunettone (identici a quelli in facciata che illuminano rispettivamente la sacrestia e la navata) e una porta in legno sormontata da un architrave in pietra. Nonostante le cappelle poste a ridosso della facciata a nord, è presente un terzo lunettone tripartito. Spicca inoltre la torre campanaria a pianta quadrangolare (restaurata nel 19123), decorata pittoricamente nell’ultima parte da un bugnato d’angolo.

Le notizie storiche pervenute non sono sufficienti però per capire più approfonditamente le trasformazioni che l’edificio ha subito negli anni in quanto non è stato trovato nessun documento sia in archivio di stato a Como sia nell’archivio storico diocesano a Milano. Si suppone che all’inizio del ‘600 la chiesa fosse in rovina in quanto fu riedificata completamente, stravolgendo l’architettura e mantenendo forse solo il presbiterio

LO STATO CONSERVATIVO

La Chiesa presentava dei degradi strutturali rilevanti con cedimenti e lesioni che interessavano in modo evidente l’arco absidale. Visto la particolare situazione si sono eseguite delle indagini preliminari da diversi specialisti utili per poter valutare la migliore proposta di intervento di consolidamento e di restauro conservativo.

L’intervento ha previsto due fasi:
-   consolidamento strutturale della Chiesa eseguito a giugno/luglio 2020
-  restauro conservativo delle superfici dell’arco trionfale e del presbiterio ottobre/gennaio 2021

 

Consolidamento strutturale

l problema più significativo a livello strutturale della Chiesa interessava la parte adiacente il cimitero. È stato infatti rilevato che alla base del muro, il terreno di fondazione, presentava notevoli asportazioni di materiale dovute probabilmente alla formazione del cunicolo a monte dei colombari del cimitero, creato per allontanare le acque meteoriche, ma che ha di fatto tolto il terreno di rinfianco delle fondazioni di Chiesa e del campanile favorendo l’azione di erosione dell’acqua.

L’intervento ha previsto quindi il consolidamento con la realizzazione di un blocco rigido di malta idraulica di contenimento tra le fondazioni delle cappelle cimiteriali e la muratura di fondazione della Chiesa.

I lavori sono stati eseguiti dall’impresa Giuliano Pigazzi di Pasturo.

 

Sull’arco del presbiterio particolarmente danneggiato si è ritenuto di dover inserire un nuovo tirante, in asse con l’arco stesso, e posto al di sopra dei tiranti esistenti. Inoltre, visto il grave quadro fessurativo dell’arco, sono state inserite delle spine radiali di cucitura e si è proceduto con le iniezioni nelle lesioni con adeguata malta da restauro con caratteristiche strutturali idonee.

Anche la facciata principale della Chiesa presentava un quadro fessurativo che doveva essere attentamente approfondito e si doveva intervenire al più presto per integrare lo stato tensionale dei tiranti presenti così come il prospetto ovest verso il cimitero.

L’intervento ha previsto l’inserimento di due tiranti metallici nello spessore della muratura sia nella parete est (facciata principale) sia nella parete di ovest per contrastare ulteriori spostamenti tra gli elementi murari che si sono formati a seguito delle lesioni rilevate.

L’intervento è stato eseguito dalla ditta Sicem di Mozzo (Bg).

La progettazione e direzione lavori è stata seguita dall’ing. Parolari di Lecco con il coordinamento dell’arch. Alessia Silvetti con studio a Dervio (Lc).


Restauro conservativo delle superfici dell’arco trionfale e del presbiterio 

Successivamente alla messa in sicurezza ed al consolidamento dell’edificio, si è ritenuto importante riportare la Chiesa ad uno stato di conservazione necessario per poter essere trasmessa alle future generazioni in quanto patrimonio storico artistico presente nel paese di Pasturo.

Il degrado era esteso sull'intera superficie del presbiterio, in particolar modo sul basamento, erano presenti patologie tipicamente associate alla sussistenza di umidità, derivanti sia da passate infiltrazioni, sia da importanti fenomeni di risalita capillare.

 

Inoltre l’arco trionfale oggetto di consolidamento strutturale presentava numerose lesioni e fessurazioni che andavano sigillate con materiale compatibile con l’esistente.

Si è intervenuto con l'asportazione dell’intonaco ammalorato della fascia inferiore delle pareti.

Gli intonaci sono stati ricostituiti utilizzando appropriate malte premiscelate le quali, grazie alla loro particolare combinazione di sabbie silicatiche e di calci idrauliche naturali, garantiscono ottime proprietà di traspirazione e smaltimento dell’umidità e conseguentemente di deumidificazione. 

Si sono rimossi i rappezzi eseguiti con materiali non idonei, in particolare quelli a base cementizia. Queste porzioni di materiale sono stati reintegrati con composti di tipo tradizionale appositamente approntati, costituiti da calce idraulica, grassello di calce.

La scelta di integrare solamente le piccole porzioni mancanti e di non ripristinare quelle più estese, è stata valutata e concordata con gli Organismi di Tutela. L'intervento si è concluso con l'omogeneizzazione cromatica di ciascuna area ed il raccordo cromatico delle varie superfici.

Di notevole interesse è stato il ritrovamento di una decorazione sulle lesene, una sulla parte centrale dell’arco trionfale ed alcune decorazioni sulla parete est.

Il restauro ha reso possibile sia la conservazione e la valorizzazione della Chiesa di S. Andrea sia la scoperta di queste particolari decorazioni che risaltano maggiormente l’impianto architettonico dell’arco trionfale e del presbiterio.

 

I lavori termineranno a gennaio in quanto alcune pareti, visto l’umidità presente all’interno della Chiesa, non si sono ancora asciugate.

L’importo dei lavori a preventivo ammontava a 60.000,00 €, a consuntivo la spesa sostenuta ammonta a 64.000,00 € di cui 24.000,00 € finanziati dalla Fondazione Comunitaria del Lecchese.

 

I lavori di restauro, con la direzione dall’arch. Alessia Silvetti, sono stati eseguiti dalla ditta Luzzana Restauri di Civate (Lc) .

 

                                                                                                                                                                                                                        Alessia Silvetti



 IL GRINZONE n.74 

 

 

 

Un padrino d'eccezione a Pasturo

  



 

UN PADRINO D'ECCEZIONE A PASTURO:

IL PITTORE FIORENTINO "ALUIGI REALE" *

 

Il ‘padrino’ (o ‘compare / compatre’, come si leggeva nei vecchi registri battesimali) indica ancora oggi colui che, in coppia con una madrina o ‘comare’, tiene a battesimo o a cresima il figlio di una coppia di parenti o amici. Suo compito non è solo quello di far da testimone al rito, ma anche e soprattutto quello di assumere pubblicamente l’impegno di collaborare con i genitori nell’educazione spirituale del proprio figlioccio. In passato il suo ruolo era di gran lunga più rilevante da un punto di vista non solo religioso ma anche e soprattutto sociale, economicoculturale, che andava ben oltre l’impegno spirituale. Il padrino, in caso di morte prematura dei genitori, poteva infatti prendere il loro posto o intervenire in supporto ai figliocci in una varietà di modi. La selezione dei ‘parenti spirituali’ veniva, dunque, fatta oculatamente dalla famiglia tramite scelte strategiche volte a estendere e diversificare il più possibile la rete di relazioni fondata sulla cosiddetta ‘parentela spirituale’ originata dal battesimo. La celebrazione battesimale, infatti, era un’occasione da non perdere: per la famiglia del battezzando era uno strumento d’alleanza per istituire legami a ogni livello della scala sociale e per ‘farsi pubblicità’, organizzando cerimonie particolarmente solenni e invitando come ‘testimoni’ membri delle illustri casate locali o vip, non del luogo; per il padrino era l’occasione di “scalare”, cioè di inserirsi e affermarsi nella cerchia degli ottimati locali, disputando delle vere e proprie ‘gare’ pur di imparentarsi con le nobili famiglie del posto1. 

Particolarmente interessante perché riguarda direttamente la storia e l’arte del nostro territorio è lo studio di un documento, in parte inedito, relativo a due battesimi amministrati entrambi a Pasturo dal parroco don Giobbe Marazzi a dieci giorni di distanza l’uno dall’altro, per la precisione il 16 e il 26 agosto 1644.

Ecco il trascritto dei due atti conservati presso l’Archivio Parrocchiale di Pasturo (Registro dei battesimi dal 6 luglio 1640 all’11 luglio 1748).

Barbara figliola di Gioseffo Arrigoni et di Helisabetta Arrigoni sua legitima moglie nata adi 13 et battezata adi 16 Agosto 1644 da mi P. Job Marazzo curato. Il compar è stato il Sig.r Aluigi Reale pittore, la comar Maria figliola di Martino Arrigoni.

Bertolemeo figliolo di Angelo Anesetti detto Arrigoni et di Gioanna Terzoli sua legitima moglie nato adi 24 et battezato adi 26 Agosto 1644 da mi P. Job Marazzo curato. Il compar è stato il Sig.r Aluigi Reale Pittore, la comar è  stata madonna Maria figlia del fu messer Cipriano Brugora d’Introbio.

I due battezzandi appartenevano a due storiche e nobili famiglie di Baiedo: gli Anesetti e gli Arrigoni2. Barbara3 era figlia di Giuseppe Arrigoni (morto a Venezia il 21 luglio 16634) e di Elisabetta Arrigoni; Bartolomeo5 era figlio di Angelo Anesetti Arrigoni, figlio di Calimero di Baiedo6, e di Giovanna Terzoli, figlia di Pietro Giacomo e di Antonia (nata a Introbio il 12 gennaio 1607 e morta a Pasturo nel 1677 all’età di 70 anni7).


    78 Sampietro 4  78 Sampietro3   

Il dato d’archivio più interessante che emerge da questi due atti di battesimo è il nome del padrino: “Aluigi Reale”. Le due famiglie di Baiedo scelsero, infatti, come ‘testimone’ un personaggio importante, non del luogo, un vip (diremmo oggi): si rivolsero niente poco di meno che a Luigi Reali, un pittore itinerante, nato a Firenze nel 1606 e morto dopo il 1660, molto attivo in Canton Ticino e nelle valli alpine piemontesi (Novarese) e lombarde (Valsassina, Val Camonica e Lecchese), dove firmò numerose pale d’altare e ritratti, come quelli del curato Giobbe Marazzi, parroco di Pasturo dal 1640 al 1671, del curato Giovanni Battista Cattaneo Della Torre, parroco di S. Giovanni alla Castagna di Lecco, nonché del Cardinale Federico Borromeo8.

78 Sampietro578 Sampietro 6A onor del vero, già l’Orlandi scrisse, a proposito della famiglia Anesetti di Baiedo, che “Nel 1644 uno di questo casato fu tenuto a battesimo dal pittore Luigi Reali, fiorentino, che lavorava per le chiese di Pasturo”9, ma non ne trascrisse l’atto e non citò neppure, a proposito degli Arrigoni di Baiedo, l’atto dell’altra ‘figlioccia’ del Reali. Questi due atti sono estremamente importanti nella biografia del nostro pittore perché attestano non solo che il Reali si era già ben inserito nel tessuto sociale pasturese dopo un solo anno trascorso nel paese ai piedi della Grigna ma anche che nell’agosto 1644 si trovava ancora a Pasturo. Nel 1643, infatti, come si evince da una nota d’archivio10, aveva realizzato le tre tele per la chiesa di S. Andrea al cimitero raffiguranti rispettivamente la Madonna col Bambino tra i ss. Andrea e Pietro Martire (oggi al santuario della Madonna della Cintura), S. Biagio e S. Eusebio (oggi in chiesa parrocchiale), mentre nel 1644 dipinse, siglandolo e datandolo, il ritratto del parroco Giobbe Marazzi (oggi nella casa parrocchiale di Indovero). Sempre a Pasturo nel 1645 realizzò le tele raffiguranti S. Restituta che presenta i figli al papa11 e il Battesimo di s. Eusebio12 nella parrocchiale di S. Eusebio; nel 1658 eseguì le tele con il Martirio di s. Eusebio13 e il Martirio di s. Calimero14; nel 1660 l’Immacolata e santi15 nel santuario della Madonna della Cintura, l’ultima sua opera valsassinese.

A conclusione di questa nota storico-artistica ecco una carrellata delle altre opere valsassinesi del Reali o a lui attribuite: la Vergine del Buon Consiglio con le ss. Caterina e Lucia nel santuario di S. Maria delle Grazie a Barcone (presso Primaluna), su commissione di Giacomo de Melesis di Barcone (1650)16; i quattro dipinti per lo stesso santuario, raffiguranti il Martirio di s. Apollonia, il Martirio di s. Agata, il S. Vincenzo e il L’Apparizione di Gesù Bambino a s. Antonio di Padova (1651); i Misteri del Rosario della parrocchiale di Barzio; il ritratto raffigurante il Cardinale Federico Borromeo (oggi nella casa parrocchiale della frazione di Indovero di Casargo); una Madonna col Bambino nella chiesa di S. Rocco a Narro, frazione di Casargo; S. Antonio e Gesù Bambino e il miracolo della mula (firmata e datata 1658) nella chiesa di S. Giacomo a Codesino, frazione di Casargo17.                                  

                                                                                                       Marco Sampietro

 

* Una prima versione di questo studio è stata pubblicata in “Archivi di Lecco e della Provincia”, XLIV, (2021), pp. 112-114.

1 Sul ‘padrinato’ cfr. G. Alfani, Padri, padrini, patroni. La parentela spirituale nella storia, Marsilio, Venezia 2006, in particolare le pp. 239-265.

2 Cfr. A. Orlandi, Le famiglie della Valsassina. Repertorio con brevissime illustrazioni, La Grafica, Lecco 1932, pp. 21-26.

3 Suoi fratelli e sorelle furono: Pietro Carlo nato il 3 e battezzato il 4 agosto 1641; Tomaso nato il 10 e battezzato il 12 gennaio 1647; Marta nata il 15 e battezzata il 18 gennaio 1650; Giacomo nata il 2 e battezzata il 3 marzo 1652; Antonia nata il 28 e battezzata il 31 luglio 1656.

4 “É venuto la nova come Gioseffo Arrigone detto Ciapero è morto in Venetia alli 21 luglio si è cantata la messa et sonato”.

5 Suoi fratelli e sorelle furono: Giovanni Maria nato il 29 settembre e battezzato il 2 ottobre 1642; Giovanna Agnese nata il 26 e battezzata il 27 maggio 1646; Anna Anastasia nata il 3 e battezzata l’8 febbraio 1648; Eusebio nato il 29 e battezzato il 1° agosto 1649; Giovanna Domenica nata il 19 e battezzata il 20 maggio 1652; Giuseppe Giovanni Maria nato il 6 e battezzato l’11 luglio 1655.

6 Si ricava dall’atto di battesimo di Simone figlio di Giovanni Galbani e di Maddalena Arrigoni: “Simone figliolo di Gioanni Galbano da Baiedo et di Madalena Arrigoni sua legitima moglie nato adi 26 et battezato adi 28 ottobre 1640 30 da mi P. Job Marazzo curato. Il compar è Simone Arrigoni. La comar Gioanna Terzoli moglie di Angelo Anesetti quondam Calimero tutti da Baiedo” (Archivio Parrocchiale Pasturo, Registro dei battesimi dal 6 luglio 1640 all’11 luglio 1748).

7 Archivio Parrocchiale di Introbio, Registro dei battesimi dal 1565 al 1624, p. 85, e Archivio Parrocchiale di Pasturo, Registro dei morti dal 1668 al 1746 (“S’è dato sepoltura à Gioana moglie d’Angelo Anesetti d’Arigone, d’anni 60 [sic] in circa”). I Terzoli erano una famiglia di vicini documentata a Introbio dal 1532 al 1748 (Orlandi, Le famiglie della Valsassina cit., p. 136).

8 Cfr. E. Villata, s.v. Reali Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 86, 2016.

9 Orlandi, Le famiglie della Valsassina cit., p. 21.

10 Archivio Parrocchiale di Pasturo, Libro delli crediti di S.to Andrea et S.to Pietro martire di Baie, ff. 234r, 235r, 241r.

11 Data e firma: “Mdcxxxxv, / Aloyxivs Realis, florentinvs pingebat,”; iscrizione sotto al dipinto: “S.a Restitvta vedova di marito madre di dvoi figli vn maschio et vna femmina parte da Sardegna sva patria va a / Roma gli presenta al Sommo Pontefice accio che ammaestrati nella s.a fede rinaschino a’ vita eterna”.

12 Data e firma: “Mdcxxxxv. / Aloysivs Realis florentinvs pingebat”; iscrizione sotto al dipinto: “[Il S]ommo Pontefice battezza il fancivllo gli pone il proprio nome d’Evsebio servendogli di padrino in levarlo [dal] / [sac]ro fonte vn angelo dal cielo visibilmente apparso qvale con stvpore di tvtti fatto invisibile dispar[ve]”.

13 In alto al centro: “S. Evsebivs Mart(yr). Et. Pont(ifex).” e in basso a sinistra “Florentinvs pingebat. 1658”.

14 Iscrizione in alto a sinistra: “S. Calimerivs. Mart(yr). et. Pont(ifex).”.

15 “Aloisivs Realis florentinvs pingebat a(nn)° Mdclx”.

16 Iscrizione in basso al centro: “1650 / Jacobvs de Melesis Barcony / Vallis saxinæ devotione sva / f. f.”. Compulsando i registri parrocchiali (Archivio Prepositurale di Primaluna, serie 1.1.2.4, Registro 1) è registrata la morte di un certo Giacomo Melesi sepolto l’11 agosto 1661: “È stata datta sepoltura a Giacomo Meles d’età d’anni settanta circa adi undeci Agosto detto anno havendo ricevuti tutti li s.mi sacramenti”. Interessante l’annotazione dell’Orlandi “Nella chiesa di Barcone c’è un quadro con la Madonna, S. Caterina d’Alessandria e S. Lucia: con questa iscrizione: “1650 Iacobus de Melesis Barcony Vallis Saxinae devotione sua f.f.”. La quale dicitura fa supporre che indubbiamente il dipinto fu eseguito lontano dalla Valsassina, e che lontano stava puranche il donatore. Il dono venne forse da Pisa o da Firenze; comunque testifica l’affetto che i valsassinesi emigrando in cerca di lavoro, serbavano per la loro patria; come lo testificano i numerosi oggetti sacri sparsi nelle nostre chiese” (Orlandi, Le famiglie della Valsassina cit., p. 37).

17 Su Luigi Reali in Valsassina cfr. Luigi Reali in Valsassina (1643-1660) (catalogo), a cura di A. Barigozzi Brini, Lecco 1989; O. Zastrow, Il ritrovamento a Barzio e il restauro di una ignota pittura eseguita per la parrocchiale da Luigi Reali nel 1645, in Archivi di Lecco, XV (1992), 1, pp. 19-36; S.A. Colombo - M. Bona Castellotti, Luigi Reali, in Pittura in Brianza e in Valsassina dall’Alto Medioevo al Neoclassicismo, a cura di M. Gregori, Milano 1993, pp. 283 s.; G. Virgilio, Novità su Luigi Reali. Dalla mostra di Rancate all’attribuzione di due nuove opere nel Lecchese, in Archivi di Lecco e della Provincia, XXXI (2008), 4, pp. 56-65; Ead., Note aggiuntive sulla Santa Eurosia di Luigi Reali, ibid., XXXII (2009), 3, pp. 7-11; S. Ferrari, in Arte e Territorio/2. Restituzioni e restauri 2006-2011, Lecco 2013, pp. 43-45; G. Virgilio, Aggiornamenti sulla ritrattistica di Luigi Reali (con un breve accenno a una raccolta novecentesca di fotografie), in Arte lombarda, 2015, vol. 173-174, pp. 167-172.


IL GRINZONE n.78



S.Rocco, S.Giacomo Maggiore o S.Francesco Saverio?

 



 

S.ROCCO, S.GIACOMO MAGGIORE o S.FRANCESCO SAVERIO?

Risolto l'enigma del Santo raffigurato su uno dei due paliotti

nella Chiesa della Madonna della Cintura

 

Il paliotto è un arredo liturgico che viene definito in questi termini dal Vocabolario Treccani: “rivestimento che copre la faccia anteriore dell’altare, per lo più di stoffa pregiata, ricamata o dipinta, o anche di altri materiali (lastre d’oro o argento cesellate, legno, avorio o marmo con rilievi)”.

Nel Santuario della Madonna della Cintura se ne possono ammirare ben due. Il primo (fig. 1), fissato sul fronte dell’altare della cappella laterale sinistra dedicata a S. Carlo Borromeo e a S. Antonio da Padova, è in cuoio punzonato e dipinto (XVIII secolo) e ha al centro un medaglione raffigurante la Madonna tra i SS. Andrea e Pietro Martire, lo stesso soggetto iconografico della pala dipinta nel 1643 da Aloisio Reali per la chiesa di S. Andrea (fig. 2), ragion per cui è fortemente probabile che il paliotto in questione provenga proprio dalla chiesa del cimitero.

Il secondo (fig. 3), fissato sul fronte dell’altare della cappella laterale destra dedicata a S. Francesco Saverio, è in stoffa (XVIII-XIX secolo) e ha al centro un medaglione raffigurante il busto di un Santo rappresentato in abito talare nero, con indosso una mantellina (detta “pellegrina”), a cui è affibbiata una conchiglia, tiene un bordone e gli pende dalla cintola una grossa corona del rosario.

Chi è questo Santo? Gli studiosi hanno avanzato diverse ipotesi di identificazione: S. Rocco (secondo Luca Tosi)1 oppure S. Giacomo Maggiore (propone Federico Oriani)2. Vorrei, invece, sostenere, almeno come più probabile, la identificazione con S. Francesco Saverio, cercando di spiegare le ragioni che ci indurrebbero a escludere le proposte di identificazione con S. Rocco e S. Giacomo Maggiore.

Non si tratta di decidere chi abbia ragione - “la ragione e il torto - direbbe Manzoni - non si dividono mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro” - piuttosto di esaminare meglio la questione. 

Innanzitutto, come mai questa rosa di nomi? Perché l’indagine iconologica, che studia e interpreta le immagini, è un terreno sì affascinante, ma spesso insidioso e scivoloso. Nel nostro caso, poi, la lettura dell’immagine è resa, a dir poco, ardua per il fatto che abbiamo a disposizione solo il busto del Santo e quindi ci sfuggono altri suoi eventuali attributi iconografici che potrebbero essere determinanti per una sua corretta identificazione. Ѐ questo, ad esempio, il caso di chi vuole riconoscere nel medaglione S. Rocco o S. Giacomo Maggiore, che vengono generalmente rappresentati quasi allo stesso modo così da confonderli facilmente. Entrambi sono raffigurati in abiti da pellegrino con bastone, bisaccia, cappello, pellegrina e conchiglia3, come nel paliotto pasturese, dove però non sono presenti altri attributi iconografici specifici: S. Rocco mostra quasi sempre una piaga della peste sulla coscia ed è accompagnato da un cane che porta un pezzo di pane; S. Giacomo Maggiore, invece, è rappresentato talvolta con un libro, segno dell’apostolo come testimone, e la spada (con cui fu decapitato). S. Rocco e S. Giacomo Maggiore sono da scartare, anche se l’identificazione con quest’ultimo non sarebbe poi del tutto fuori luogo dal momento che l’oratorio, oggi Santuario della Madonna della Cintura, era originariamente intitolato proprio a questo Santo, come documentato dal 14294, ma non ci sono altri elementi probanti.

           

Resta ora da dimostrare la identificazione con S. Francesco Saverio. La prova regina è, secondo me, la talare nera con il caratteristico colletto gesuitico che indossa il Santo del paliotto, abito non presente nell’iconografia degli altri due Santi. Il cofondatore dell’ordine gesuitico viene, infatti, talvolta rappresentato con la pellegrina, la conchiglia e il bordone come si può vedere nella Morte di S. Francesco Saverio sulla spiaggia di Francesco Polazzo (prima metà del XVIII secolo, Bergamo, Duomo), nel S. Francesco Saverio come pellegrino di Bartolomé Esteban Murillo (1670 circa, Wadsworth Atheneum, Hartford) o in una tela sei-settecentesca conservata al Museo Parrocchiale di Ponte in Valtellina. Se si confronta, però, il S. Francesco Saverio pasturese tra i SS. Ignazio di Loyola e Alberto da Trapani della bella pala sei-settecentesca sopra l’altare (fig. 4) o dell’affresco sulla volta a botte con S. Francesco Saverio in gloria tra angeli (fig. 6), si nota che il titolare non è raffigurato come nel medaglione del paliotto ma con cotta e stola per ricordare i numerosi battesimi che impartì alle popolazioni asiatiche da lui convertite al cristianesimo5.

Il Santo del paliotto, sia pure pesantemente ridipinto6, potrebbe dunque essere S. Francesco Saverio, anche perché si trova davanti all’altare della cappella dedicata a questo Santo, il cui culto in Valsassina è attestato da altre poche ma significative testimonianze iconografiche. Oltre che a Pasturo, altre raffigurazioni del cofondatore dei gesuiti si possono ammirare a Cortabbio nella chiesa di S. Lorenzo presso la cappella dedicata a S. Domenico, dove c’è una pala dipinta nel primo Settecento da Carlo Filippo Vignati raffigurante S. Domenico tra i SS. Carlo e Francesco Saverio7 (fig. 5), e a Margno nella chiesa di S. Bartolomeo dove è conservata una tela con S. Francesco Saverio che mostra il Crocifisso (inizi XVIII secolo)8. E per finire, anche se non è in Valsassina, nella chiesa di S. Giorgio a Mandello si trova un dipinto con la Morte di S. Francesco Saverio.

                                                                                           Marco Sampietro



 

1Archivio Parrocchiale di Pasturo, Inventario dei Beni Mobili Ecclesiastici della Diocesi di Milano, 1991, scheda 660.
2 F. Oriani (a cura di), Le chiese della Valsassina. Guida storico-artistica, Cattaneo, Annone 2014, p. 110.
3 La conchiglia era simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela forse perché in origine, per provare il pellegrinaggio compiuto, si spingevano fino al mare a Finisterre a raccogliere una conchiglia.
4 Oriani, Le chiese della Valsassina cit., p. 108.
5 Altri suoi attributi iconografici sono: il crocifisso, simbolo della sua predicazione e della sua devozione a Cristo, la ciotola battesimale e gli indiani; il cuore, simbolo dell’amore per Dio, il giglio della purezza, il cappello e la pellegrina, simbolo dei suoi numerosi viaggi in Oriente (India e Cina).
6 Il paliotto fu restaurato nel 1980 da Luigi Garoli (Archivio Parrocchiale di Pasturo, Sez. 2.2. Chiesa della Madonna della Cintura).
7 Oriani, Le chiese della Valsassina cit., pp. 194-195.
8O. Zastrow, La chiesa matrice di San Bartolomeo a Margno, Parrocchia S. Bartolomeo, Margno 2001, p. 241.

 

 

  

IL GRINZONE n.72

  

  

 

L'enigma dell'ex-voto del 1749

 



 

Miracoli dipinti nel Santuario della Madonna della Cintura a Pasturo

 

L'ENIGMA DELL'EX VOTO DEL 1749

 

Gli ex voto1, appesi alle pareti di numerosi santuari, specie mariani, della nostra penisola (e non solo), altro non sono che doni offerti da devoti alla Madonna e/o ai Santi, “graziati” per scampati pericoli o per insperate guarigioni. Si tratta per lo più di tavolette dipinte che, contraddistinte in genere da uno stile colloquiale e da una qualità artistica piuttosto modesta, “sono un pezzo della storia d’Italia - come scrive lo storico Angelo Turchini - che non è mai stata fatta, una storia non scritta (almeno nei termini usuali), che non si conosce”. Gli ex voto per grazia ricevuta rivestono, infatti, un’importanza notevole da un punto di vista storico poiché chiariscono, in assenza di ulteriori ragguagli documentari, le circostanze all’origine dell’invocazione divina e, contestualizzando nel tempo e nello spazio le vicende narrate attraverso dettagli di intenso realismo, si rivelano fonti ricchissime di informazioni su usi, costumi e tradizioni della comunità locale. Ma non è finita. Espressione di una cultura popolare in cui era condizione normale, col riconoscimento della propria precarietà, il fiducioso ricorso al divino, gli ex voto possono essere a buon diritto considerati quasi come “preghiere dipinte”, segni autentici di una fede umile e sincera, storie di sofferta vita quotidiana.

Nel caso specifico delle tavolette dipinte si riscontra in genere una struttura iconografica stereotipata. Lo spazio in cui si svolge l’azione o è rappresentato l’evento all’origine della grazia è diviso in due piani: superiore e inferiore. Nel piano superiore, detto “spazio celeste”, disposto spesso a sinistra e delimitato da una coltre di nubi, è collocata la presenza divina (Madonna o Santi). Nel piano inferiore, detto “spazio terreno”, disposto a destra, è collocato il graziato. Nella maggior parte dei dipinti votivi la loro origine è testimoniata da una sigla come “VFGA” (“Votum fecit gratiam accepit”), “P.G.R.” (“Per Grazia Ricevuta”), “G.R.” (“Grazia Ricevuta”) e tante altre ancora. Per una corretta lettura dell’immagine votiva bisogna tener conto della “scenografia”, cioè degli elementi presenti sulla scena della grazia raffigurata che forniscono indizi per comprendere le malattie rappresentate (un fiotto di sangue che sgorga dalla bocca, un’epistassi profusa, pustole cutanee sul dorso o un arto bendato consentono una diagnosi immediata) o gli scampati pericoli, come incidenti sul lavoro o catastrofi naturali, incidenti stradali o di viaggio, eventi bellici2.

Non risulta però sempre chiara e immediata la comprensione di un ex voto perché i segni sono talvolta indiretti, talaltra mancano didascalie che testimoniano compiutamente l’avvenimento descritto nella tavoletta votiva: ragion per cui spesso una lettura iconologica coerente si rivela quanto mai difficoltosa. È questo, ad esempio, il caso dell’enigmatico ex voto del 1749 che si conserva nel Santuario della Madonna della Cintura a Pasturo, appeso alla parete destra della cappella dedicata a S. Francesco Saverio assieme ad altri due ex voto settecenteschi3 e ad una Madonna di Zagorsk tra popolane russe firmata da Giancarlo Vitali nel 1977, al ritorno da un pellegrinaggio in Russia4.

L’ex voto in esame, datato “1749”, come risulta dal cartiglio in basso a sinistra (“G.R. / 1749”), è un olio su tela (60 x 75 cm) con ampie cadute della pellicola pittorica. Al centro un sacerdote in talare nera, con stola e tricorno, tiene nella mano destra un reliquiario d’argento e con la sinistra tocca la spalla destra di un uomo inginocchiato ai suoi piedi con lo sguardo stravolto, dall’aria vagamente ebete, che impugna un crocefisso e alza gli occhi al cielo. A destra stanno tre mucche accovacciate sotto una tettoia, che altro non è che una stalla coperta (cfr. la voce dialettale premanese téğe, dal lat. *tĕgia, “tettoia” con la sua variante töğe, “rustico, casa rurale”, töğia in Alta Valsassina [Vegno, Margno, Casargo], töğiä a Crandola). A sinistra altri due uomini, anch’essi inginocchiati, invocano con fervore l’intervento divino volgendo lo sguardo verso lo spazio celeste dell’ex voto dove è raffigurata la Madonna della Cintura con il Bambino Gesù tra due santi agostiniani che ricevono per l’appunto la cintura: a sinistra S. Agostino in abiti episcopali (con mitra e piviale) e ai suoi piedi il pastorale dove spicca il cuore infiammato5; a destra S. Nicola da Tolentino rappresentato come un giovane dal viso glabro, con l’abito nero degli agostiniani e con il sole raggiato in mezzo al petto. L’anonimo pittore aveva molto probabilmente sotto gli occhi la pregevole tela del 1687 che si trova sulla parete sinistra del presbiterio del santuario pasturese, incorniciata da una decorazione plastica realizzata da Giovanni Domenico Aliprandi tra il 1670 e il 1673: essa raffigura la Madonna della Cintura tra Santi agostiniani (S. Monica in alto, in basso suo figlio S. Agostino e S. Nicola da Tolentino). Completa la scena del paesaggio vagamente bucolico di questo ex voto un cane nero che si allontana correndo sulla sponda di un torrente, forse esondato. 

Questa la descrizione oggettiva della tavoletta in esame. Ma chi sono i tre uomini? Di che grazia si tratta? L’abbigliamento dei tre uomini farebbe pensare a membri del ceto signorile, se non nobili almeno possidenti, non certo a semplici contadini o pastori il cui abbigliamento troviamo esemplificato nel Settecento nei quadri del Ceruti, del Todeschini e del Londonio. Più difficile comprendere la natura della grazia dipinta in questa tavola. Non resta che avanzare alcune ipotesi. Potrebbe trattarsi di una scena di esorcismo, anche se il cane nero sullo sfondo della tavoletta non ha né un aspetto pauroso né tantomeno minaccioso, anzi sembra uno slanciato levriero, che non ha nulla a che vedere con un’incarnazione solfurea. In genere nelle rappresentazioni di esorcismo e della messa in fuga di diavoli questi escono dalla bocca dell’esorcizzato e non passeggiano certo tranquilli e beati come in questo caso. Il cane allora potrebbe fungere semplicemente da “elemento di contesto” della scena, senza alcun significato recondito. Altre ipotesi: il miracolato è guarito da un attacco epilettico oppure è scampato all’assalto di un toro/di una mandria o è stato salvato dall’annegamento. Un’ultima ipotesi potrebbe essere quella di un ex voto per la salvezza del bestiame da una epizoozia, anche se le mucche della tavoletta sembrano godere di buona salute (hanno però la bocca aperta forse per la presenza di un’afta). In quegli anni ci fu una grande epidemia accuratamente descritta da Lodovico Antonio Muratori nei suoi Annali d’Italia, precisamente nell’ultimo volume che va dal 1725 al 1749: la morìa dal 1746 interessò il Piemonte e il Milanese, per poi diffondersi verso i ducati padani e, nel 1749, giungere in Francia. Nelle cronache locali dell’epoca non ce n’è però traccia.

Stando così le cose, non ci resta che rassegnarci a ignorare la natura di questa grazia, in attesa che nuove ricerche o nuove scoperte contribuiscano a diradare le tenebre. O per dirla con il Manzoni: ai posteri l’ardua sentenza!

                                

                                                                                           Marco Sampietro

 

 

1 Locuzione latina che sta per ex voto suscepto “secondo la promessa fatta” è usata in italiano come sostantivo maschile invariabile.

2 G. Cerasoli, Storie dipinte per grazie ricevute, Biblioteca Clueb, Bologna 2020.

3 Raffigurano una Madonna della Cintura tra i SS. Mauro, Biagio, Egidio e Gottardo con devota in preghiera (XVIII secolo, olio su tavola, 29x38 cm) e una Madonna della Cintura che concede la grazia ad una devota in preghiera (seconda metà del XVIII secolo, olio su tavola, 31x21 cm).

4 Zagorsk è il nome che, tra il 1930 ed il 1991, fu imposto alla cittadina russa di Sergiev Posad. Sull’opera del Vitali cfr. R. Lolla Villa, A Pasturo visita al Santuario della Madonna della Cintura, ne “Il Resegone”, 02.09.1983, p. 19; G. Orlandi, G. Agostoni, La Madonna di Zagorsk, ne “Il Grinzone”, 9 (32 - ottobre 2010), pp. 15-16.

5 Si tratta di un evidente richiamo al tema del cuore: cor Jesu, inquietum est cor nostrum donec requiescat in te, tema tanto caro alla spiritualità agostiniana: il cuore infiammato o trafitto da frecce diventa dal XVII secolo un attributo iconografico del vescovo di Ippona.


IL GRINZONE n.76



Il centro storico di Pasturo

 



 

IL CENTRO STORICO DI PASTURO 

in un inedito quadro del pittore lecchese Carlo Pizzi (1842 - 1909)


È in corso a Lecco, a Palazzo delle Paure, la mostra “Manzoni nel cuore” che si propone di indagare, attraverso una serie di testimonianze artistiche e documentali in gran parte inedite e provenienti per lo più da collezioni private lecchesi (e non solo), il rapporto tra la città di Lecco e Alessandro Manzoni, con particolare riguardo alla sua famiglia (che era oriunda di Barzio) e alla fortuna dei suoi Promessi Sposi sia “in opera” (si pensi alla trasposizione musicale di Errico Petrella) sia “nel folclore”, che sfociò in una vera e propria manzonimania, dando vita a un variegato universo di manzonerie.

Una sezione del percorso espositivo è dedicata al paesaggio lecchese di cui proprio la suggestione delle pagine manzoniane modificò per sempre la percezione e la raffigurazione artistica. A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, infati, il borgo di Lecco con le sue montagne (in particolare, il Resegone con la sua inconfondibile cresta a nove punte) fu oggetto di prestigiose restituzioni che si devono ad alcuni fra i più quotati pittori lombardi (e non solo) che, catturati dalla bellezza di questo straordinario lembo di terra lombarda, ricco di acque, di rilievi e di affascinanti scorci panoramici, seppero interpretarlo nel solco del verismo e del naturalismo lombardo. Si pensi, tanto per fare alcuni nomi, al bergamasco Marco Gozzi, al ticinese Carlo Bossoli, al veronese Giuseppe Canella, al bergamasco Silvio Poma e a tanti altri ancora.

Tra le tele esposte figura anche un piccolo quadro ad olio su tela (28 x 36 cm) che riproduce il centro storico di Pasturo, per la precisione un tratto dell’attuale via Manzoni che da Casa Pozzi conduce al Cineteatro Colombo. Si tratta di uno scorcio che, sia pure oggi in parte trasformato da una recente ristrutturazione che ne ha snaturato la valenza paesistica, è stato immortalato, oltre che su questa tela, anche su alcune cartoline dei primi decenni del Novecento.

Sulla destra, inondata di luce, vi è una casa padronale settecentesca - tuttora esistente anche se in avanzato stato di degrado - con arioso portico a pianterreno e, soprastanti, due ordini di loggiati ad archi e colonne in pietra, ove fervono segni di vita quotidiana come panni stesi ad asciugare e un ombrello nero. Il cortile della dimora è cinto da un alto muro; vi si accede da un elegante portale ad arco a tutto sesto caratterizzato da due spalle in pietra e dall’alto fastigio con tetto a due falde: il portale, oggi non più esistente, è senza battenti e all’interno del muro di cinta sono appoggiate assi di legno. A fianco della dimora si notano alcune case tra cui spicca un fabbricato di carattere rustico, a due piani, dai caratteristici loggiati lignei sovrapposti, retti da colonne a stampella, e con le intelaiature in legno delle balconate. Gli edifici sulla sinistra sono semplici e poderosi: da notare un agile balconcino in ferro battuto di gusto settecentesco e al piano sottotetto una serie serrata di aperture con appoggiate fascine di legna che denota la funzione di deposito degli spazi retrostanti. Sullo sfondo si intravede il portico di un altro edificio rustico con un affresco devozionale sul fastigio (oggi non più esistente). A completare lo scorcio pasturese sono alcune figure in veste di “macchiette”: in primo piano a sinistra due donne con l’abito tradizionale di cui una con il gerlo e una capretta; sulla destra, appoggiato al piedritto sinistro del portico vi è un bambino con cappello nero.
Meticolosa e quasi miniaturistica nonché estremamente fedele alla realtà è la resa particolareggiata del paesaggio circostante, con i vasti pascoli di Tévena, di Praa Bell, di Poree e della costa di Piazz, nonché del Pizzo della Pieve. In basso a destra si legge la firma dell’autore “Carlo Pizzi” (1842-1908), al quale la critica non ha dedicato quell’attenzione e quella considerazione che avrebbe largamente meritato, trattandosi di un artista che s’inserisce con autorevolezza nel solco del verismo e del naturalismo italiano1.

Nell’estate del 1876 il Pizzi trascorse qualche mese a Pasturo in compagnia dell’amico Giovanni Bertarelli e della sua signora per realizzare studi dal vero. E proprio al soggiorno pasturese può essere ascritto non solo il quadro in esame ma anche un disegno a matita intitolato Paesaggio con alberi in Valsassina ai Musei Civici di Lecco. Il Pizzi immortalò la Valsassina anche in altre sue opere esposte a Brera: La Pioverna in Valsassina (1869); Piano d’Introbbio: Valsassina (1871); Una via in Barcone: Valsassina (1878), La Pioverna in Valsassina (1897).

Il quadro in questione è noto come La casa di Agnese a Pasturo, una casa rurale (già delle famiglie Ticozzi e Costadoni) dalle tipiche strutture valligiane: una costruzione ad L, con cortile e ingresso a tettuccio e con due ordini di loggiato su pilastri sopra il portico a terreno2. A Pasturo si era infatti rifugiata Agnese per sfuggire la pestilenza, come don Abbondio riferiva a Renzo, ritornato in paese: “È andata a starsene nella Valsassina, da que’ suoi parenti, a Pasturo, sapete bene; ché là dicono che la peste non faccia il diavolo come qui” (cap. XXXIII). Più avanti, Renzo, dopo aver ritrovato Lucia a Milano, si metteva in cammino per Pasturo in cerca di Agnese. Trovatala in quella che Manzoni descriveva come una “casuccia isolata” con un orto sul retro, Renzo le dava la notizia della guarigione di Lucia, ritornando, poco tempo dopo, per ricondurla al paese nativo.

La tradizione locale ne individua però un’altra in via Parrocchiale, 9, ritratta tra il 1925 e il 1949 da Luigi Zago in una tela oggi ai Musei Civici di Lecco, oltre che immortalata su diverse cartoline d’epoca.

Al di là di queste identificazioni, sempre opinabili, l’intitolazione dimostra la suggestione esercitata dal romanzo manzoniano non tanto e solo su Pizzi, quanto piuttosto più in generale sul realismo della pittura di genere lombarda della seconda metà dell’Ottocento. La descrizione topografica del paesaggio è uno, infatti, degli elementi del linguaggio verista che permette di dare alla narrazione quella distintiva intonazione di vita quotidiana che, talvolta, indugia nel bozzettismo. Il titolo del quadro, in questo caso, diventa più che altro il pretesto per attribuire al paesaggio di Pasturo la dimensione intima e familiare di un luogo immerso in un’atmosfera carica di sentimentalismo. Tra le altre opere di Pizzi di soggetto manzoniano ricordiamo le numerose vedute di Pescarenico, di Lecco del Resegone e dell’Adda. A queste tele si aggiungono alcuni disegni conservati nei Musei Civici di Lecco: la Culla di Alessandro Manzoni e il Capanno di Caccia, la Prima pagina dei Promessi Sposi (Esposizione Brera 1883), la Cascina Costa a Galbiate, la Casa di Olate, un Paesaggio con figure.


                                                                                             Marco Sampietro


 

 

1 M. Sampietro, scheda V.5, in Manzoni nel cuore. Testimonianze figurative dalle collezioni private lecchesi, Cattaneo, Oggiono-Lecco 2020, pp. 178-179.

2 A. Bonfanti, Terre della detta Valsassina, Azienda di Soggiorno e Turismo Barzio, Stefanoni, Lecco 1976, p. 77; A. Borghi, Lecco città manzoniana, Stefanoni, Lecco 1994, pp. 118-119; A. Borghi, Il Lago di Lecco e le valli. Sacralizzazioni. Strutture della Memoria, Cattaneo, Oggiono 1999, p. 213; R. Marchi, Pasturo manzoniana, in “Il Grinzone”, IX, 31 (luglio 2010), pp. 8-9.

 

 

IL GRINZONE n.70