SAN GIORGIO E IL DRAGO

 Un altro esempio di riscrittura cristiana di un mito pagano


Già sulle pagine di questo periodico abbiamo avuto modo di addentrarci nel fantastico mondo della mitologia classica raccontando un mito assai noto, quello di Edipo, prendendo le mosse da un affresco quattrocentesco della parrocchiale di S. Eusebio raffigurante san Giuliano l’Ospitaliere che, come un novello Edipo, uccide senza saperlo il padre e la madre che dormono nel suo letto1.
Il mito, come si sa, è un racconto che non è mai concluso in sé, ma che rinvia sempre ad altri eventi, altri personaggi, altri luoghi. Il mito (si può dire) ha la forma di una rete, in cui si intrecciano mille nodi. Nel corso del tempo, questa rete con i suoi molteplici richiami narrativi è stata calata infinite volte nel mare della cultura e, trascinata sul fondo, ha raccolto nomi, fatti, rituali, usi, costumi, regole, atteggiamenti, visioni del mondo. Con l’avvento del cristianesimo i miti pagani non sono tramontati ma sono stati riscritti e riletti alla luce di nuove esigenze cultuali e pedagogiche. Raccontare o ri-raccontare oggi i miti degli antichi significa entrare dalla porta principale nella memoria della loro, nostra cultura.

Vogliamo ora raccontare un altro mito che è stato cristianizzato come quello di Edipo prendendo spunto, anche stavolta, da un affresco del secondo Quattrocento che si intravede all’interno della cappella-ossario addossata all’antica facciata principale del S.Eusebio prima della rotazione secentesca della sua pianta.

      

Gli affreschi della cappella-ossario, commissionati dalla locale famiglia notabile degli Zucchi che suggellò l’opera con il proprio stemma parlante (tre zucche), versano in un precario stato di conservazione che ne rende difficoltosa la lettura. Ad ogni modo, oltre agli stemmi che appartengono al repertorio visconteo-sforzesco e alle iscrizioni ormai illeggibili che corrono sulla cornice superiore, si possono riconoscere una figura maschile intera e un viso femminile. Rivolgiamo la nostra attenzione alla figura intera: rappresenta un uomo armato, con indosso un’armatura da soldato. La presenza dell’aureola ci suggerisce che è un Santo ma di Santi con l’armatura ce ne sono più di uno (Acacio, Alessandro, Giorgio, Martino di Tours, Maurizio, Michele, Teodoro). La scelta cade su san Giorgio ma non a caso, perché san Giorgio è il titolare della chiesa matrice di Cremeno, dalla quale la parrocchia di Pasturo si staccò nel 1343.

Ma chi era san Giorgio? Vissuto tra il III e il IV secolo, era un cavaliere della Cappadocia che - come ci narra con toni favolistici il frate domenicano Jacopo da Varazze (1228-1298), autore di una fortunatissima “enciclopedia” di Santi, la cosiddetta Legenda aurea - salvò la giovane figlia del re da un orribile drago che pretendeva vittime umane da una città, che altrimenti avrebbe sterminato con il suo alito venefico. Le vittime venivano estratte a sorte e, quando toccò alla principessa, essa fu portata presso il lago dove viveva il drago ma, prima ancora che esso potesse sbranarla, giunse Giorgio che a spada sguainata lo domò. Legata alla cintura della giovane, la bestia, inoffensiva, fu portata in città dove Giorgio rassicurò il popolo dicendo di essere venuto a vincere il drago in nome di Cristo, affinché si convertissero. Dopo tale impresa, Giorgio ripartì, ma durante le persecuzioni di Diocleziano subì atroci torture e venne decapitato.

        

La leggenda di san Giorgio e il drago richiama da vicino l’impresa di un eroe greco: Perseo. Nato da Zeus che si fa pioggia d’oro per unirsi a Danae, la bellissima figlia del re di Argo Acrisio, reclusa come santa Barbara in una stanza sotterranea foderata di bronzo, Perseo è innanzitutto l’uccisore della Gorgone, un mostro spaventoso con la testa coperta da una selva di capelli che sono, in realtà, un brulichio di serpenti: il suo sguardo ha la capacità di trasformare in pietra tutti coloro che lo abbiano incrociato. Portata felicemente a termine l’impresa, Perseo, mentre solca il cielo con i suoi meravigliosi calzari alati, si trova ad attraversare l’Etiopia ed ecco che si trova subito coinvolto in una nuova avventura. Vede una roccia a picco sul mare, una ragazza di meravigliosa bellezza incatenata alla rupe e un mostro - un drago, un serpente, una balena, uno squalo, insomma una spaventosa creatura degli abissi - che si accinge a divorarla. La ragazza è Andromeda, figlia del re Cefeo, offerta in pasto a questo mostro marino per placare l’ira di Poseidone, dio del mare. Perseo se ne innamora a prima vista e, come ogni eroe della fiaba, desidera sposare la principessa. Il padre acconsente e l’eroe uccide senza difficoltà il mostro.
Come si nota, gli ingredienti delle due imprese compiute dall’eroe greco e dal cavaliere della Cappadocia sono gli stessi: una ragazza bellissima e un mostro che si accinge a divorarla. Perseo compie la stessa azione che, molti e molti secoli dopo, dovrà tornare a compiere san Giorgio: uccidere un mostro crudele (che stavolta ha tratti più simili a quelli del basilisco degli antichi, il serpente dallo sguardo che fulmina e dal fiato velenoso) e liberare una fanciulla.
La figura di san Giorgio, dunque, sembrerebbe interamente costruita con frammenti di miti greci: Jacopo da Varazze sembra attingere a piene mani al repertorio delle fonti classiche per mettere insieme la leggenda di san Giorgio e il drago. L’essere che egli sopprime, infatti, è un incrocio fra quello che sta per divorare Andromeda e l’Idra di Lerna, il temibile serpente acquatico che viene ucciso da Eracle; e oltre a richiedere la vita della figlia del re, il mostro del santo cavaliere esige anche un annuale tributo di vite umane, alla maniera del Minotauro di Creta.
Insomma san Giorgio farebbe strage di più mostri classici in uno solo.

Che cosa resta oggi del culto di san Giorgio in Valsassina? Oltre all’affresco pasturese, san Giorgio è particolarmente venerato in quel di Cremeno di cui è il santo patrono: nella chiesa parrocchiale San Giorgio che uccide il drago è raffigurato sul grande polittico cinquecentesco (De Magistris, Arcimboldi, 1534) ospitato nella prima cappella a destra e scene della sua vita (l’uccisione del drago e il martirio) sono state affrescate da Luigi Tagliaferri tra il 1900 e il 1901 sulle pareti del presbiterio e sempre un San Giorgio a cavallo è al centro di un paliotto tardottocentesco in metallo sbalzato, argentato e parzialmente dorato davanti alla mensa preconciliare; nell’oratorio di S. Rocco sulla predella del polittico che funge da pala d’altare (opera di frate Stefano da Pianello, datata 21 aprile 1523), è raffigurato al centro San Giorgio e il drago. A Somadino, nella chiesa romanica di S. Margherita, sulla parete sinistra della prima campata campeggia un affresco cinquecentesco raffigurante una Madonna in trono con il Bambino tra i SS. Giorgio e Margherita d’Antiochia. E per finire, su una delle cinque campane della chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Primaluna, fuse dalla ditta Pruneri di Grosio e benedette nel 1911, è riportata l’effigie di san Giorgio. Come mai? In quegli anni era prevosto don Luigi Combi che, come tutti i Combi, era oriundo di Cremeno.

                                                                 

                                                                         Marco Sampietro

 

1 Cfr. M. Sampietro, Una versione cristiana del mito di Edipo nella chiesa di S. Eusebio, ne “Il Grinzone”, (30 - marzo 2010), pp. 17-18.


IL GRINZONE n.57