UNA VERSIONE CRISTIANA DEL MITO DI EDIPO

NELLA CHIESA PARROCCHIALE


Il mito di Èdipo, che assassinò il padre e ne sposò la madre, non muore con il tramonto della mitologia classica, ma continua a vivere nell’immaginario collettivo anche dopo l’avvento del Cristianesimo. La tradizione cristiana altomedievale, infatti, si è sempre innestata su un rito e/o culto preesistente, trovandosi a combattere i resti, ancora vivi, dei due paganesimi dell’epoca: quello delle credenze tradizionali di lunghissima durata e quello della religione ufficiale greco-romana. Fu così che nei secoli immediatamente successivi all’affermarsi della nuova religione la cultura ecclesiastica rilesse alla luce di nuove esigenze cultuali e pedagogiche la cultura folklorica mediante tre modalità e processi: la distruzione, l’obliterazione, lo snaturamento. Nel caso di Èdipo, si è parlato di un processo di obliterazione: a un personaggio pagano è stato sostituito un omologo cristiano. E così nella coscienza del popolo Èdipo è diventato un cavaliere che risponde al nome di S. Giuliano l’Ospitaliere (IV secolo d.C.), protettore delle locande, delle osterie e degli ospizi.

Ma chi era S. Giuliano? Era un nobile giovane che un giorno durante una battuta di caccia – come ci narra il frate domenicano Jacopo da Varazze (1228-1298), autore di una fortunatissima “enciclopedia” di Santi, la cosiddetta “Legenda aurea” - ebbe da un cervo la terribile profezia che avrebbe ucciso i suoi genitori. Per paura che tale profezia si avverasse, Giuliano scappò il più lontano possibile e giunse in un castello e si sposò. Intanto i suoi genitori si misero a cercarlo per ogni dove e una sera giunsero proprio al castello di Giuliano, mentre questi era assente. La moglie li ospitò e offrì loro la camera da letto. Al mattino, quando Giuliano di ritorno entrò in camera per svegliare la moglie, trovando un uomo e una donna nel proprio letto credette che fosse la moglie con un amante: sguainò la spada senza far rumore e li uccise con un sol colpo. Quando poi scoprì, dopo il delitto, di avere trucidato i suoi genitori, Giuliano si ritirò assieme alla moglie sulla riva di un grande fiume: vi costruì un grandissimo ospedale dove faceva penitenza e dava ricovero a tutti i poveri. Dopo anni una notte aiutò un lebbroso: era Gesù che aveva perdonato il suo peccato.


La diffusione del culto di questo santo leggendario è testimoniata da alcuni affreschi che riproducono la scena del duplice omicidio. Incominciamo da quello che si trova sulla parete sinistra della navata della parrocchiale di S. Eusebio, in corrispondenza del vecchio presbiterio. Si tratta di un affresco tardoquattrocentesco che raffigura un uomo e una donna che giacciono in un letto, apparentemente dormienti, entrambi con una ferita al collo; un personaggio maschile con l’aureola sgozza uno dei due dormienti con la spada sguarnita; ai piedi del letto una figura femminile alza le mani in segno di raccapriccio. Ci sono tutti gli elementi per riconoscere che si è di fronte all’episodio determinante della vita di S. Giuliano l’Ospitaliere. La committenza dell’opera pare legata al castellano Gio. Giuliano Santi.

E ancora, a Olcio, nella chiesa di S. Maria al Monte, si ammira una pala secentesca raffigurante S. Giuliano che pare da mettere in relazione con l’ospizio benedettino e forse anche templare (dal 1145) che esisteva un tempo lassù. Vicino al paese, di recente in una cappelletta mariana si sono trovati affreschi di fine Quattrocento con i SS. Giuliano e Rocco, Sebastiano ed Eufemia (cui è dedicata la parrocchiale di Olcio) ed una figura con la spada cui si intreccia la frusta che usava per catturare volatili. Non si sa se la cappella fosse della comunità o di costruzione privata; potrebbe essere connessa alla famiglia Fasoli in cui ricorre il nome di Giuliano. La scena del duplice omicidio è rara nel territorio lariano: una rappresentazione analoga a quella del S. Eusebio si trova nella chiesa di S. Maria del Tiglio a Gravedona e in Valtellina a Morbegno su un affresco del 1470, che - guarda caso - si trova sulla parete sovrastante l’ingresso dell’antico ristorante Valtellina in via Feliciano Ninguarda, dove un tempo c’era una locanda, visto che S. Giuliano è il patrono dei luoghi di rifugio, degli alberghi e delle locande. E per finire, nel territorio comunale di Dubino, in località S. Giuliano, sorgeva una chiesetta, già documentata a partire dal XIII secolo e crollata oltre dieci anni fa circa, che conservava al suo interno interessanti affreschi cinquecenteschi, tra cui spiccava quello di S. Giuliano che sgozza i suoi genitori.

La diffusione del culto di questo santo leggendario è testimoniata anche da una novella di Boccaccio (la seconda del secondo giorno) e da un racconto-novella di Flaubert intitolato “Saint Julien l'Hospitalier”, in cui viene raccontata con tinte fosche la giovinezza di questo fiammingo patito per la caccia anche violenta, cavaliere infaticabile e carattere vendicativo che non aveva esitato a uccidere il padre e la madre coricati nel suo letto credendoli la moglie e il suo presunto amante. E da ultimo possiamo ricordare il romanzo di Pietro Barlassina, intitolato “L’affresco”, liberamente tratto dalla leggenda medievale di S. Giuliano l’Ospitaliere e ambientato tra il lago di Lecco e le montagne delle Prealpi Lombarde.

 

                                                                                                  Marco Sampietro

(Si ringraziano per la collaborazione gli amici Angelo Borghi e Giulio Perotti).


IL GRINZONE n.30