BRICIOLE DI STORIA PASTURESE  

dagli archivi parrocchiali valsassinesi (III parte)

 

Ancora una storia di forèst nella Pasturo del Seicento. I protagonisti sono, stavolta, fonditori di campane provenienti nientemeno che dalla Lorena, una regione della Francia1 che, con il Bassigny e il comune di Breuvannes nella Haute-Marne, fu, tra Cinque e Seicento, la culla o, se preferite, la fucina dei più rinomati e ricercati fonditori di campane di tutta la Francia e non solo. I Garnier, i Priquay, i Bonavilla e tanti altri ancora girarono, infatti, in lungo e in largo tutta l’Europa, dall’Italia alla Svizzera, dall’Austria alla Germania e all’Olanda, fermandosi dove e finché c’era lavoro2. Erano dunque gli stessi fonditori e non certo i committenti a muoversi perché la fusione di una campana avveniva, o meglio, doveva avvenire se non sul posto in mancanza dell’apposito fosso e del suo forno, comunque in una località abbastanza vicina, come espressamente richiesto dai committenti che potevano così controllare de visu l’operazione e verificare la quantità e la qualità della lega, soprattutto nel caso ricorrente di rifusione e di reimpiego del metallo.

Nel loro girovagare campanari lorenesi fecero tappa anche in Valsassina, per la precisione a Pasturo prima, e a Taceno poi, dove, anche se le loro campane oggi non scandiscono più la vita della comunità perché rifuse nel corso dei secoli, restano, a documentarle, le carte d’archivio. Dimenticate nel buio per secoli, rivedono ora la luce e ci raccontano piccole grandi storie del nostro passato che dormivano nell’inchiostro sbiadito intinto in poveri calamai da mani che spesso avevano più familiarità con il rastrello e il forcone che con la penna d’oca.

 

Fonditori lorenesi di campane a Pasturo e a Taceno

 

Pasturo, primi decenni del Seicento. Nel corso dei lavori al campanile della chiesa parrocchiale di S. Eusebio si ruppe accidentalmente una delle due campane, per la precisione quella maggiore o “grossa”, che suonava almeno dal 1569, come risulta dalla relazione del visitatore regionario di quell’anno3. Bisogna sapere che, ieri come oggi, quando si rompeva una campana, non la si poteva riparare: andava rifusa, punto e basta. Un’operazione, questa, che necessitava di una manodopera altamente specializzata. Fu così che nel 1614 arrivarono a Pasturo nientemeno che due fonditori lorenesi di campane, come risulta da questa nota di spesa trascritta e commentata da Andrea Orlandi4:

 

“Ai 17 Gennaio 1614 «fatto mercato con doi campanari francesi del ducato di Lorena a gettar la nostra campana grossa rotta di rubbi incirca 71 a soldi 30 il rubbo et lire 12 sopra tutto di sua faticha: il resto poniamo noi tutto et è spesa lire 1193.16».

E per dimostrare che le campane allora non usciva dalle fonderie di Milano, di Bergamo, di Varese, o d’altrove, ma si gettavano in luogo, da campanari ambulanti, riferisco le spese occorse:

 

Ai campanari                                                                Lire   122.10

Metallo compreso                                                                  805

Carbone pesi 28                                                                     28

Muratori, manovali e braccianti per la fossa e il fornello             70.6

Creta, olio, sabbia, cera, sego                                                 28.2

Mattoni 2200 e trasporto                                                         80

Ferramenti e battaglio                                                             21

Spese minori                                                                          38.18

                                                                                          ________

 

                                                                                         1193.16

 

Nell’anno seguente 1615 il Comune di Pasturo aveva ancora debito di lire 400 imperiali, causa metallo fornitogli per detta campana da Ambrogio Auregio Mercati5 di Bellagio”.


81 sampietro 2Purtroppo le carte d’archivio tacciono i nomi dei due fonditori lorenesi operosi a Pasturo nel 1614. Conosciamo invece nome e cognome del fonditore lorenese che vent’anni dopo fuse la campana della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Taceno6. Siamo nel 1634. Nel corso dei lavori al campanile si ruppe, come a Pasturo, la campana mezzana e pertanto “fù rebutata”7 da mastro Giovanni Priquay di Lorena8, che la rifuse con la campana della chiesa di S. Antonio di Vezio in Monte Varenna. Le spese sia del campanile che della campana furono sostenute grazie ai legati fatti al tempo della peste di manzoniana memoria e con il contributo dei tacenesi che prestarono gratuitamente il loro lavoro di manodopera nei giorni festivi. Tutte queste notizie si ricavano dalle Memorie di don Giacomo Antonio Cameroni di Comasira, curato di Taceno dal 1630 al 1635. Si riportano qui di seguito soltanto le annotazioni relative alla rifusione della campana9.

Adi 14 8bre 1634 sud(detto) fù rebutata la campana mezzana, che era rutta in occas(ion)e del fabricare il campanile p(er) opera di m(ast)ro Giovanni Priquay di Lorena, quale in d(ett)a n(ost)ra chiesa, cioè avanti la porta fù fatta con un’altra de S. Ant(oni)o de Vetio monte Var(enna) essendo la n(ost)ra di pesi n° 18 et quella da Vezzo pesi n° 6 et mezo, avanzò metallo pesi n° 4, che fù riposto in casa di un sindico il Fiorino a effeto di acrescere la campana picola alla proportione. Avanzò anche un peso di arame.

Le spese si fecero nella fabrica del campanile et campana, non furono fatte dal comune, ma de legati fatti nel tempo di peste 1630, et de elemosine della chiesa. È vero che gl’habitanti della Parochia ogni festa si affaticavano a preparare la m(ate)ria de sassi, legname et altre cose, nelle maggiori fatiche se gli davano le spese10 di quello dalla chiesa, sebene molti anche voleano la mercede. [Segue l’elenco dei legati di £ 2700]. Et altri che hanno lasciato piccoli capitali alle Schole che saranno tutti al compimento de £ 2000 imperiali. Il restante delle spese della fabrica del campanile, et della nova sacristia che sono il numero de £ 3500 sono de elemosine. 

Che fine ha fatto la campana del 1634? La campana lorenese fu sostituita nel 1703 da due campane fuse dal comasco Nicola Comolli tuttora esistenti11.

Questa è la storia delle due campane francesi della Valsassina. Queste note pasturesi e tacenesi sono storicamente importanti perché attestano la presenza di fonditori lorenesi in Valsassina già dal 1614.

 

Sono stati così aggiunti due tasselli in più al mosaico della storia delle campane che ebbero un tempo una funzione importante per la comunità (da indicatori del controllo della Chiesa sul tempo a strumenti di segnalazione profana, funzionale ai bisogni economici più che a quelli dello spirito), diventando negli ultimi due secoli elemento ricorrente di poesia nostalgica (chiaro segno di desuetudine), per ridursi poi a oggetto di reclami per il disturbo che arrecano a taluni.

 

 

Marco Sampietro


 

1 Oggi dipartimento di Meurtheet-Moselle, con città come Nancy e Luneville.

2 G. Scaramellini, Fonditori lorenesi in Valtellina e Valchiavenna, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, n. 42, a. 1989, pp. 87-98; Id., Le campane francesi di Albosaggia, in “Alpes Agia”, a. 2, marzo-aprile 1994, pp. 46-47; Id., Ancora sui fonditori lorenesi di campane in Valtellina e Valchiavenna, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, n. 51, a. 1998, pp. 135-140; Id., La campana francese di Teregua, in La chiesa della Santissima Trinità di Teregua in Valfurva. Storia, arte, devozione, restauro, Associazione Teregua, Tip. Bettini, Sondrio 2011, pp. 121-127; Id., Fonditori lorenesi in Valtellina e Valchiavenna, http://campanevaltellina.it/fonditori/lorenesi.php.

3 “Il campanile è in frontispicio dell’altare maggiore, fatto a Torre con due campane” (A. Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina, Amministrazione Comunale di Pasturo, Pasturo 1995, p. 109).

4 Orlandi, Memorie di Pasturo e Bajedo in Valsassina cit., pp. 217-218.

5 Sono riuscito a rintracciare in Archivio Parrocchiale solo l’atto notarile rogato il 22 gennaio 1615 da Placido Arrigoni di Barzio con cui la comunità di Pasturo si dichiarava debitrice di Lire 400 imperiali verso Ambrogio Aureggio mercante (e non Mercati) di Bellagio per metallo avutone da rifare e gittare la campana maggiore della chiesa parrocchiale (Archivio Parrocchiale Pasturo, Instrumenti spettanti alla Fabbrica della Chiesa, 1615, gennaio 22).

6 M. Sampietro, Mastro Giovanni Priquay: un fonditore lorenese di campane a Taceno nel 1634, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, a. XLV, giugno 2022, pp. 93-96.

7 Il verbo rebutare, composto da re- (nuovamente) + butare, è una forma arcaica del verbo ributtare, usato qui nell’accezione di ‘fare un nuovo getto’, quindi ‘rifondere’, ‘colare di nuovo in stampo il metallo fuso o la malta’, sinonimo quindi del verbo gettare, nel senso di ‘versare in apposite forme metallo fuso, materiale cementizio, gesso, per ricavarne opere di getto: gettare una statua’. Questa accezione è attestata per la prima volta in una cronaca cinquecentesca, la Cronica milanese di Gianmarco Burigozzo merzaro dal 1500 al 1544, pubblicata dalla Libreria Ferrario di Milano nel 1851: “Siando li Franzesi serrati in Castello, fezeno gran violenza a Milano; rupperno el campanil del Broveto [= cioè Broletto, residenza del Municipio], et rupperno la campana grossa del Domo; la qual campana fu refatta a di 10 Zugno, ma non la venne bene, perché el metallo scorse dalla forma, et non se ne fece niente. A di 9 Settembre fu rebutata [= gittata o fusa di nuovo], et venne bellissima” (p. 10).

8 L’Orlandi lesse “Laorca” anziché “Lorena”: “L’anno 1634 mastro Priney di Laorca si recò a Taceno, con incarico di rebutare la campana mezzana, di quattro pesi, rotta nel fabbricare il campanile; e fornire una campana per la chiesa di Sant’Antonio di Vezio nel Montevarenna. Le operazioni furon eseguite alla porta della chiesa di Taceno” (A. Orlandi, Campane in Valsassina, La Grafica, Lecco 1943, p. 5).

9 Archivio Parrocchiale Taceno, Registro 7. Note già trascritte da A. Orlandi, Taceno e la sua parrocchia in Valsassina, Scuola Tipografica dell’Orfanotrofio, Lecco 1930, pp. 53-54 e da E. Cazzani, Lanzichenecchi e peste manzoniana in Valsassina, Monti, Saronno 1975, pp. 65-66.

10 “Dare la spesa, fare la spesa, nel gergo valsassinese vuol dire dare il vitto” (A. Orlandi, Taceno e la sua parrocchia cit., p. 53).

11 Le chiese della Valsassina. Guida storico-artistica, a cura di F. Oriani e M. Sampietro, Banca della Valsassina, Cattaneo Paolo Grafiche, Cremeno 2014, p. 246 (con bibliografia precedente).  

 

 

IL GRINZONE n.81