Crepuscolo

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   Crepuscolo: tempo cronologico, tempo dell’anima; colore del tempo, colore dell’anima.
Un tramonto sulle Dolomiti a San Martino di Castrozza: le rocce, che per lunghi momenti hanno rifranto gli ultimi raggi del sole, rosso nel suo morire, come per incanto si sono trasformate in grandi giardini fioriti di rose; una fioritura intensa, ma rapida e fuggevole; uno sbocciare e uno sfiorire quasi in magica dissolvenza. Così le crode hanno di nuovo indossato la loro veste abituale, il loro colore pallido di sempre: le rose le ha portate via il sole, con sé, morendo, come a infiorare la sua tomba, a dare una speranza di vita alla sua temporanea morte.
   Scende il crepuscolo, con la sua luce incerta, a velare ogni cosa e a far nascere il desiderio di un’altra luce, che sia di conforto, che appaghi il “ desìo d’assopimento”, che conduca alla pace. E il crepuscolo invade anche l’anima di Antonia, che avverte tutto il peso delle speranze perdute, dello sfiorire dei sogni, dell’inutilità di tante fatiche e di tante attese. Allora nasce il confronto con le montagne, le sue “mamme montagne” e ancora una volta la montagna si fa per Antonia Pozzi luogo dello spirito, oasi di meditazione e di riflessione interiore sul senso della vita, sul senso della morte, specchio del proprio soffrire e, più ancora, del proprio morire, come approdo alla pace e alla luce.
   Ma in questo specchiarsi e confrontarsi i termini di paragone si scambiano e si contendono il ruolo di protagonisti: “Anima, del tuo sfiorire / perché ti duole?”. In un primo momento è l’anima di Antonia il primo termine: ad essa, infatti, assomigliano le montagne (anzi “ogni montagna” scrive la poetessa, quasi volesse nominarle ad una ad una, creando così un raffronto personalissimo tra il proprio io, sospeso nella domanda e il tu immobile e muto delle montagne); sulla loro fronte, infatti, è lo “stesso pallore” che vive nella sua anima, lo stesso desiderio di assopimento”, lo stesso anelito alla quiete, al riposo dello spirito.
   Subito dopo la posizione si rovescia e sono le montagne, come nella poesia “Esempi” (Anima, sii come la montagna…) ad assumere il ruolo di primo piano, come modelli a cui ispirarsi e da cui apprendere l’arte di vivere e di soffrire, ma anche di guardare oltre la vita e le sue pene. Il tono esortativo - imperativo del verbo che apre la quarta strofe, “vedi”, sottende e rivela il paragone non esplicitato: come le montagne, anche tu…
   Poi le “grandi cime si sbiancano”: è il biancore della morte? O non è il candore di una nuova luce che ha preso il posto dell’incerto pallore crepuscolare? L’aggettivo “puri”, del terzultimo verso della stessa strofe, ci mette sull’avviso che non si tratta dello “sbiancare” della morte, ma di una purezza conquistata attraverso il dolore. Con questa purezza gli “immensi volti” delle montagne si protendono a chiedere e a ricevere la “carezza” delle stelle. E quanta pace in questa carezza di luce!
   Nell’ultima strofe il confronto ritorna esplicito e chiarisce ancor meglio il senso di quello “sbiancare” e di quel “puri”: la nuova luce, che ha reso bianche le montagne, proprio mentre su di esse va calando il buio della notte, è destinata a rischiarare anche l’anima di Antonia, a illuminare la sua vita, che ha perso tutte le “rose”, e sarà “il bagliore supremo”. E se in questa metafora si può leggere l’incombere della morte, è segno che per Antonia Pozzi la morte è luce, è “carezza stellare”, con tutta la carica di levità e di tenerezza che dal gesto della carezza fiorisce a donare la pace.


                                                                                      Onorina Dino