La sorgente

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  Il titolo della lirica pare riferirsi a un soggetto concreto, la sorgente, appunto, perché nel testo si trovano elementi strettamente correlati con essa: il “monte”, la “vena bianca”, che nasce quasi all’improvviso, il salire della poetessa “tra le pietre”, “l’acqua di stagno” quando ormai l’acqua della sorgente è lontanissima da essa e si distende nella valle. E poi c’è la presenza del sole e del vento, compagni fedeli delle vette, dalle quali sgorga la “sorgente”, ma che qui hanno una valenza tutt’altro che positiva: il vento, infatti “esilia”; il sole, vedremo, “beve” l’acqua della sorgente e la dissecca. Ma dov’è questa sorgente? Antonia Pozzi sembra dircelo: “Al tuo monte”. Il monte per antonomasia, che A. Pozzi considera “suo”, è la Grigna, meta di ascensioni frequenti fin dall’infanzia; “suo” perché ai suoi piedi si stende il piccolo paese delle sue estati e della sua quiete, Pasturo. Ma è davvero la Grigna, il “tuo monte”?. Nella “realtà” del sogno, probabilmente sì, ma nella vera realtà? Anche nel sogno, comunque, l’ascesa è faticosa, richiede tenacia, obbliga il corpo a procedere a “strappi”, con sforzi bruschi, dietro la spinta della volontà e del desiderio di raggiungere la meta, la vetta. Il monte, però, è invisibile: il vento, infatti, lo “esilia / dietro siepi di gemme chiuse”; ma quando “a strappi” l’io del poeta riesce un poco a innalzarsi dalla terra, a vincere il peso del proprio essere e la forza di attrazione della terra, allora avviene il miracolo: “ nasci / vena bianca nell’attimo d’azzurro, / nudo canto proteso / oltre le nubi / mute”. Ma chi nasce in questo miracolo? È ancora un “tu”; lo stesso a cui, nel primo verso si riferisce il possessivo “tuo”: è la “sorgente” – ed eccoci al titolo – ossia la poesia. Ma perché essa potesse nascere, è stato necessario salire sul monte , ossia mirare in alto, essere “come il pino” che “non cede, non cede” alle sferzate del vento, o “come la montagna che “sola, in alto, si tende / ad un muto colloquio col sole”, vincendo l’ ombra violacea che vorrebbe costringerla ad arrendersi (Esempi); bisogna valicare anche le “nubi mute”, che opprimono e incutono paura; bisogna resistere al “vento” delle vicende umane, per far sì che le “gemme chiuse”, le “parole prigioniere / che battono battono / furiosamente / alla porta dell’anima” (La porta che si chiude) fioriscano e assumano consistenza poetica.
  Anche in questa lirica, dunque, Antonia insiste sul tema della creazione poetica, sulla fatica e sullo strazio che essa comporta, su quanta forza di volontà e quanti sacrifici essa esiga, quanto spogliamento interiore; soprattutto, però, più che sulla fatica della parola che sia capace di esprimere il mondo segreto dell’anima, in questa lirica l’accento è posto proprio sulla necessità dell’elevazione dello spirito verso conquiste sempre più forti e significative, perché la poesia possa sbocciare; la poesia, infatti, è un dono, ma un dono che il poeta sconta, non solo in ogni parola, in ogni verso, in ogni immagine che riesce a creare, ma anche e soprattutto in ogni istante della sua vita: se la vita non brama salire, se si accontenta o, peggio, non si pone domande che la obblighino a un ripensamento, a una svolta radicale verso ideali sempre più puri, la sorgente-poesia si esaurisce nello spazio di un “sogno”; la sorgente, infatti, è tale solo nel luogo e negli attimi del suo sgorgare, ma quando la sua acqua si perde per i fianchi del monte, lungo vie di terra, allora la sua “vita effimera / muore” e il “ canto proteso / oltre le nubi mute” si trasforma in “singulti”, finché si spegne in “acqua di stagno”: Ora il “vento” non soltanto “esilia il monte”, ma ha una voce che incute spavento, perché non è più voce sognata, ma voce reale: di dolore, di dubbio, di angoscia; voce della coscienza che reclama sfere più alte, a qualsiasi costo, perché la poesia si dona “soltanto a chi con occhi di pianto si cerca” (Preghiera alla poesia); e il sole, anche il sole, elemento vitale nella poesia di A. Pozzi, qui diviene portatore di morte, prosciugando ciò che è rimasto della sorgente, l’acqua di stagno, sì che anche le “canne” ne sono “sconvolte”, perché, prive di quell’acqua, sono destinate a morire.

                                                                                           

                                                                                    Onorina Dino