100 ANNI A NATALE


Sì, perché Lucia Castelletti è nata il 25 dicembre 1917.

Conosco Lucia fin da quando ero piccolo; abitavamo vicini e spesso con mia mamma andavo a casa sua così come lei e la figlia Flavia venivano da noi, “a mangiare le castagne cotte con le patate che preparava tua mamma ”, ricorda Lucia.

Per questo parlare con Lucia mi viene facile, anche se all’inizio mi dà del lei (“Il Sindaco che mi viene a trovare…”); si passa subito al tu e Lucia mi meraviglia per come è estremamente presente e disponibile. Si ricorda che qualche tempo fa ero passato a salutarla e le avevo preannunciato un’intervista…

Siamo in cucina, dove lei preferisce stare (“Qui sto bene perché ho meno freddo”), quando inizia a raccontare: “Ho scoperto solo in Comune che mi chiamavo anche Fortunata, ma non so come mai i miei genitori mi abbiano dato quel nome. Io in casa e anche per tutti gli altri fuori sono Lucia”.

In famiglia, oltre al papà Carlo, che faceva il falegname, e alla mamma Maria Anna Bergamini, erano in otto: cinque femmine (Lina, Sandra, Sofia, Lucia e Marialuisa) e tre maschi (Antonio, Osvaldo e Renzo). Abitavano allora in via Roma (nella cosiddetta casa Bregaglio) dove il papà aveva anche la bottega di falegname; solo più tardi, negli anni trenta, si sono dovuti trasferire in casa “Pigazzi”, di fianco alla Chiesa parrocchiale.

 

Ricorda con nostalgia la scuola: “Mi piaceva molto ed ero anche brava e sia la maestra Bambina che il maestro Pezzati mi volevano molto bene. Però ho potuto frequentare solo fino alla quarta elementare… C’erano in classe anche dei ragazzi molto più grandi che quasi mi facevano paura. La maestra Bambina a volte quando disturbavano li faceva uscire, anche d’inverno, in piazza e come castigo li obbligava a mettere le mani nella fontana con l’acqua quasi ghiacciata”.

Ha dovuto presto andare a “fare i mestieri” presso alcune famiglie. A 11 anni ha iniziato a lavorare nel panificio di Felice Ticozzi (zio del Gigi) dove aveva anche il compito, perché riusciva bene a “far di conto”, di segnare sul libretto la spesa dei clienti. Portava il pane in altri negozi e fino a Baiedo: “Ero piccola e il gerlo che conteneva il pane mi arrivava fino ai piedi e mi faceva male al calcagno…”. Dopo cinque anni il negozio ha chiuso e lei è rimasta a casa, ma per poco… “Un giorno ho incontrato il signor Bonasio Isaia, che mi ha chiesto come andava e io gli ho risposto che purtroppo ero a casa, ma avevo bisogno di lavorare”. Lucia ricorda anche che il signor Bonasio le disse: “Io ti prendo qui a lavorare perché adesso ne ho bisogno ma ti avverto che, se devo lasciare a casa qualcuno perché c’è meno lavoro, inizio dagli ultimi arrivati, quindi da te…”. Fu così che iniziò presso il tubettificio “Bonasio” (dove producevano spolette e rocchetti per i telai, e che allora era vicino alla Chiesa, attiguo al negozio di alimentari attualmente gestito dalle sorelle Negri). In realtà Lucia vi rimase ben nove anni. Erano una trentina di operai, sia uomini che donne; Il lavoro non le dispiaceva ma “occorreva essere attenti e guai se ci si distraeva o si alzava la testa dal banco…”.

Matrimonio

Nel tubettificio “Bonasio” lavorava anche un giovanotto, Invernizzi Piero, che a Lucia era particolarmente simpatico; alla sera, quando Lucia andava a prendere il latte, a volte la accompagnava. Piero suonava anche nella Banda del paese; un giorno, dopo aver suonato davanti alla Chiesa mentre Lucia era sul balcone a guardare, Piero salì a salutarla… Cominciarono così, mi dice Lucia, “a cöres adrée” e dopo alcuni anni, nel 1942, si sono sposati.

Come viaggio di nozze si sono recati a Milano, dove li aveva invitati la signora Melania, domestica in casa Pozzi dove Lucia l’aveva conosciuta. “Mi voleva proprio bene Melania, che era stata anche la mia madrina alla Cresima”.

In quegli anni c’era la guerra e non si poteva circolare liberamente; per questo Rosa Natale con la moglie Lieta si offrirono di accompagnarli a Lecco, per prendere il treno. Lieta teneva in braccio il figlio Angelo, di pochi mesi, come “lasciapassare”: “Se ci avessero fermati dovevamo dire che accompagnavamo in ospedale il bambino che non stava bene…”. A Milano i due sposi si sono fermati un paio di giorni e poi, nel ritorno, sono andati a Carenno ospiti di alcuni parenti.

 

    

 

Da Melania ad Antonia Pozzi

Si anima Lucia a parlare dell’amica d’infanzia Antonia, si commuove anche un po’ e inizia a raccontare dal primo incontro*: “Tutte le mattine per andare a prendere l’acqua (in casa non c’era) passavo davanti a casa Pozzi. Antonia, che aveva qualche anno più di me, mi guardava dal suo giardino e una mattina mi chiede: ‘Ti vedo sempre passare; vuoi fermarti a giocare un po’ con me che sono sempre sola?’. ‘Domani quando ho portato l’acqua a casa vengo qui’. Il giorno dopo sono andata e ricordo che c’erano tanti giocattoli e bambole… Antonia voleva regalarmi qualche grembiule perché ne aveva tanti mentre io avevo sempre quello che indossavo. Ha chiesto a sua mamma se andava a prenderli su nell’armadio ma la mamma, che l’era un po’ n’antecrist, non era d’accordo. Allora Antonia, dopo qualche giorno, è andata lei a prenderli e me ne ha regalati due molto belli. Da allora andavo spesso a giocare nel giardino; la nonna Nena, alla quale Antonia era molto affezionata, era molto contenta. Una sera Antonia, dopo che il papà era arrivato da Milano in auto, gli ha chiesto se il giorno dopo la portava ad Introbio alla fiera, e se poteva portare anche me. ‘Pronti domani mattina alle otto’ è stata la risposta ed Antonia si è molto meravigliata: ‘E’ un miracolo, non ho mai visto mio papà così arrendevole’, ha detto Antonia. E così sono salita, molto emozionata, per la prima volta su una macchina. Alla fiera il signor Pozzi ha comperato una trombetta per ciascuno di noi e durante il viaggio di ritorno suonavamo tutti…”.

Le due “amiche” crescendo si sono un po’ perse di vista. Lucia ricorda l’ultimo incontro: “Avrò avuto quindici o sedici anni e tornavo a casa dopo la Benedizione alla Chiesa della Madonna della Cintura”. Antonia la stava aspettando sul cancello di casa sua con un mazzetto di mughetti. Ricorda ancora le ultime parole che, piangendo, Antonia le ha rivolto: “Non so se vengo ancora a Pasturo e se ci rivedremo e allora voglio salutarti”. Negli anni successivi in effetti non si sono più incontrate: “So che a Pasturo ha continuato a venire coi suoi amici e compagni di Università; mia sorella Sandra, che era quasi coetanea di Antonia, ha mantenuto maggiori rapporti con la poetessa, ed è anche stata ospite da lei a Milano per un po’ di giorni. Ricordo poi il funerale di Antonia, l’arrivo della salma da Milano e le moltissime persone presenti. Coi genitori di Antonia non ho più avuto rapporti: la mamma sembrava non mi riconoscesse mentre il papà qualche volta, incontrandomi, mi salutava”.

 

E la vita continua…

Lucia e Piero, dopo le nozze, si sono trasferiti in Via Molini in affitto. Il marito, dopo aver lavorato dai Bonasio, era stato assunto dai Monticelli a Primaluna (“Andava in bicicletta e spesso alla sera doveva aggiustarla perché era un po’ scassata”) ed infine aveva iniziato a fare il falegname in proprio. E’ stato Pepìno (Agostoni Giuseppe) negli anni cinquanta a proporgli un appezzamento di terreno e a convincerlo a costruire una casa in Via Carreri, col laboratorio di falegnameria al piano terra e l’appartamento sopra. Non erano tempi di vacche grasse ma lavorando molto sono riusciti in pochi anni a pagare tutti i debiti. “Abbiamo restituito anche quello che ci aveva prestato ‘qu’el om de Balabi’, un venditore di stoffe che spesso veniva anche a Pasturo e al quale avevamo chiesto un prestito”.

Anche Lucia contribuiva all’economia domestica. Per un certo periodo, su richiesta di don Cima (che quando la incontrava le diceva sempre ‘Ciao, béla tösa’) è andata all’asilo a “preparare la minestra” per i bambini, perché l’Anacleta (la cuoca ufficiale) era malata. Ha poi continuato, quando c’era l’opportunità, a dare la disponibilità ad alcune famiglie per aiutare nelle pulizie, soprattutto d’estate con i villeggianti, come pure nel negozio dei Ticozzi vicino alla Chiesa. Parecchi anni dopo ha collaborato anche con la famiglia Artana sia in casa sia soprattutto nel negozio: “Il signor Giacomo ci teneva molto che stessi nel negozio per accogliere i clienti e mostrare loro i mobili e le altre cose che si vendevano…”.

 

Nel frattempo, nel 1947, era nata la figlia Flavia che, sposatasi nel 1970, è andata ad abitare in una casa vicina. Nel 1977 è morto il marito: “Lui lavorava sempre fino a tardi e io dovevo chiamarlo più volte quando era pronta la cena. Picchiavo coi piedi sul pavimento e lui, che lavorava lì sotto, quando sentiva, interrompeva il lavoro e saliva. Una sera, visto che non arrivava dopo averlo chiamato diverse volte, sono scesa e l’ho trovato per terra privo di conoscenza. Per fortuna era riuscito a spegnere la sega circolare prima di cadere altrimenti chissà…. Ho chiamato subito Flavia e l’abbiamo portato in ospedale. Solo il giorno dopo ci hanno detto che aveva avuto una emorragia cerebrale e che non c’era nulla da fare”. L’hanno portato a casa e per due anni Lucia, aiutata anche dalla figlia, l’ha accudito a letto, l’ha imboccato e curato amorevolmente fino alla fine.

Nel 1986 ha nuovamente traslocato, da Via Carreri a Via Cariole, ed ora abita in una villetta accanto a quella della figlia. Nel 2000 per un tragico incidente in montagna è morto il genero: è stata una domenica tragica perché per un improvviso sbalzo di temperatura, il manto nevoso sulla Grigna è diventato una lastra di ghiaccio e ben cinque persone quel giorno hanno perso la vita sulle montagne lecchesi. Vorrebbe raccontare ancora, Lucia, in particolare del nipote Fabio, che ora lavora in Svizzera, “ma gli piaceva di più quand’era in Germania. Mi ha sempre voluto bene. Quando era ancora qui a casa e studiava, gli portavo sempre il thè al pomeriggio…”.

Chiede anche a me se gradisco una tazza di thè o il caffè. Optiamo per il caffè e lo gustiamo entrambi, assieme a Flavia che gentilmente ce lo prepara.

Grazie di tutto, Lucia.

                                                                                                           Guido



 * Lucia ricorda l’intervista nel film “Il cielo in me” di Sabrina Bonaiti e Marco Ongania.


 

 IL GRINZONE n. 59