ADESSO E' ARRIVATA LA MEDAGLIA...


Quando gli è arrivata la comunicazione per recarsi in Prefettura lo scorso 27 gennaio per essere insignito della “Medaglia d’onore” concessa ai “Cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti nel 1943 – 1945”, Battista Mornico si trovava in Ospedale. Per questo ha delegato Orlandi Antonio a presenziare a suo nome.

Adesso è a casa, sta decisamente meglio, e si dimostra subito disponibile a raccontare da dove viene quella medaglia.


Allora partiamo dall’inizio …

Sono nato a Cortenova il 25 novembre 1925. Dopo le scuole elementari, siccome mio papà aveva una impresa edile, mi ha mandato a studiare a Lecco, al collegio don Guanella, dove ho fatto la Scuola Industriale. Poi ho iniziato subito a fare il muratore con i miei, anche perché ero il primo di cinque figli, tre maschi e due femmine. Sono stato chiamato alla visita di leva ad Introbio nell’aprile del ’43 e assegnato al “Genio Pontieri”. A novembre, non avevo ancora compiuto i 18 anni, mi è arrivata la cartolina con destinazione Como. Lì sono rimasto fino alla vigilia di Natale, quando sono tornato a casa per una licenza. Dopo non mi sono più presentato e mi sono nascosto nella casa di mia nonna. Però nel febbraio ’44 i Carabinieri mi hanno trovato e mi hanno trasferito prima a Bologna e poi a Sinigallia, aggregato ad una compagnia di tedeschi.

 

E quali erano le tue mansioni ?

Praticamente eravamo nelle retrovie di Cassino, dove era in atto l’attacco degli alleati, soprattutto Americani. Noi dovevamo intervenire a riparare i ponti che i bombardamenti distruggevano. Capitava poi che appena il ponte era finito, un successivo bombardamento lo demoliva di nuovo. Ricordo però che quando c’era l’allarme, avevamo sempre il tempo di ritirarci prima che gli americani ricominciassero a lanciare le bombe, così almeno non c’erano vittime …

 

Poi gli Alleati hanno sfondato il fronte di Cassino …

Eravamo nel giugno del ’44 quando gli Americani hanno sfondato e le truppe tedesche hanno iniziato la ritirata. Con altri italiani abbiamo approfittato della confusione e siamo scappati. Io sono tornato a Cortenova e mi sono unito ad un gruppo di “sbandati” che c’erano sulle nostre montagne. Dopo l’estate, verso la fine di ottobre sempre del ’44, durante un rastrellamento dei tedeschi sono stato preso e portato al carcere di S. Vittore a Milano, da dove una settimana dopo con una tradotta sono stato portato in Germania, a PIRNA-KOPITZ, in un campo di concentramento ai confini con la Polonia.

 

C’era qualcun altro che conoscevi o comunque della nostra zona ?

A S. Vittore hanno portato anche un altro ragazzo di S Pietro, Acquistapace Lodovico, mentre in Germania ricordo due fratelli di Vestreno, Rusconi, uno dei quali poi è deceduto per una peritonite pochi giorni dopo la liberazione da parte dei Russi … Eravamo tantissimi, di diverse nazioni: italiani, polacchi, olandesi, russi, c’erano anche dei mongoli come pure delle ragazze polacche. Erano delle belle ragazze, anche loro prigioniere e costrette a lavorare. Ricordo che alcuni, anche italiani, avevano promesso che una volta liberati le avrebbero portate in Italia, ma in realtà alla fine della prigionia le hanno lasciate, alcune anche col pancione … Ma tornando alla mia permanenza a PIRNA, mi hanno mandato a lavorare in una acciaieria, addetto alla manutenzione degli altiforni. Poi nel febbraio dell’anno successivo, il ’45, siccome stavano arrivando i Russi, ci hanno spostato più a Ovest, a FREITAL vicino a Monaco, sempre in un campo di concentramento da cui uscivamo per lavorare in un’altra acciaieria. A fine aprile ci fu il bombardamento di Monaco: in tre giorni la città è stata distrutta dagli aerei alleati. In quell’occasione dicevano che erano state usate anche le Bombe DumDum, che oltre a distruggere facevano morire le persone che si trovavano nel raggio di alcune centinaia di metri.

 

E per voi questo significava la liberazione …


Ricordo una gran confusione. L’8 maggio sono arrivati i Russi e ci hanno liberato; eravamo oltre 2000 internati/lavoratori, ma non sapevamo dove poter andare. Con un gruppetto di italiani ci siamo avviati a piedi verso Berlino ma c’erano continui posti di blocco e dovevamo tornare sempre indietro. Finalmente una donna tedesca ci ha indicato una strada secondaria e siamo così riusciti ad arrivare nel territorio occupato dagli Americani. Ci hanno raggruppati, rifocillati e poi con una colonna di camion ci hanno portati alla ferrovia e con una tradotta siamo finalmente arrivati a Bolzano. Era il 30 giugno del 1945. Lì c’era il “Comitato d’Assistenza per i rimpatriati”: con un pulman siamo stati trasferiti a Milano; il giorno dopo col treno ho raggiunto Lecco e con la corriera, sul tetto perché non c’era altro posto, Cortenova. Mi aspettavano i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle.

 

A distanza di anni, cosa ricordi di quel periodo di prigionia e di lavori forzati ?

La gran fame, ancor più della fatica per il lavoro. A quell’età, dai 18 ai 20 anni, il lavoro non mi faceva paura ma la fame sì. A volte riuscivamo a rubare delle barbabietole da zucchero che facevamo cuocere: solo per fame e per mancanza d’altro le mangiavo perché erano proprio schifose. Io per fortuna non fumavo ed allora riuscivo a scambiare le tre sigarette al giorno che ci davano con qualcosa da mangiare …

 

Ma i rapporti nel campo di concentramento e sul lavoro com’erano ?

Con le guardie erano pessimi; alla minima insubordinazione c’erano punizioni quando non rischiavi la pelle. Invece con gli altri operai si riusciva a convivere. erano anche positivi. Ricordo che anche i tedeschi, quelli più anziani, cercavano di avere un buon rapporto e a volte ci aiutavano.

 

Poi, tornato a casa, la vita è ricominciata: lavoro, matrimonio …

Sì, ho ripreso il lavoro di muratore con i miei. Nel 1946 – 47 sono stato al Pialeral a ricostruire il Rifugio che i Tedeschi avevano bruciato durante la ritirata. I lavori erano stati affidati insieme all’impresa Agostoni Giuseppe di Pasturo e all’Impresa di mio padre Mornico; fu così che bazzicavo sovente anche a Pasturo e ho conosciuto Platti Teresa, mia moglie, che ho sposato il 9 novembre del 1950.

 

Ci sono stati poi dei risarcimenti o altro?

Per la verità nel 2001, da parte dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia (A.N.R.P.) siamo stati sollecitati ad inviare una “domanda di indennizzo per riduzione in schiavitù, lavoro forzato e danni alla salute”. Si diceva che l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) avrebbe dovuto attribuire gli indennizzi in Italia per conto della Fondazione tedesca “Memoria, Responsabilità e Futuro”. Invece non se n’é fatto nulla.

Adesso è arrivata la medaglia …                                             

                                                                                          Guido


IL GRINZONE n. 26