MANASLU TREK 2015

 

Il Nepal dopo-terremoto assomiglia molto al Nepal pre-terremoto. Nel senso che, se prendi un paese che era già abituato a stare in ginocchio e lo metti in ginocchio sui ceci, per la popolazione non è che ci siano 'ste grandi differenze…

Ma andiamo con ordine: quando, nell’aprile 2015, c'è stato il terremoto coi suoi 8000 morti, il nostro progetto Manaslu Trek era già stato sviluppato in quasi tutti i particolari. Quando abbiamo visto le immagini del terremoto portate da Floriano Castelnuovo al cinema di Pasturo, avevamo già in tasca le prenotazioni e ci si chiedeva come sarebbe andata a finire. Quando, a fine settembre, il governo nepalese ha riaperto ai trekking i sentieri d'alta montagna, stavamo quasi scommettendo che non saremmo partiti. Invece...

Partenza alla fine di ottobre, da Lecco siamo in pochi, solo undici cui si aggiungeranno a Kathmandù altri due viaggiatori; mi sa che un bel po' di gente ha avuto paura degli effetti del terremoto. All'arrivo nella capitale l'impressione sarà confermata: in piena stagione turistica le vie di Tamel, il quartiere dei trekkers di Kathmandù, sono quasi deserte. La stagione, quest'anno, è andata male e questo, logicamente, va ad aggiungersi ai già disastrosi effetti del terremoto.

In giro per Tamel non è che si notino chissà quali disastri ma è un quartiere, come detto, per turisti, in buona parte è in cemento armato e, soprattutto, è stato ripulito e risistemato a tempo di record, in vista della stagione turistica. Le cose cambiano se ti infili nei quartieri “normali” di Kathmandù, quelli dove vive la gente; allora saltano fuori le case mezze crollate, le piazze ... dove prima non c'era una piazza, le pile di mattoni recuperati uno ad uno ed ordinatamente sistemati (sono usati ma ancora buoni, serviranno per ricostruire), i tetti di lamiera, le tende e, in tutto questo, la gente che vive nelle case mezze crollate, sotto alle lamiere o nelle tende come se fosse tutto assolutamente normale.

Poi cominciano le visite alle zone monumentali che, a Kathmandù e nella sua valle, sono un'infinità: vai alla Durbar Square1 della capitale e vedi metà dei templi distrutti; visiti il palazzo reale, che è crollato per metà, e là in alto stanno recuperando le tegole una ad una, da un tetto che sta sopra ad una parete fuori piombo di un bel 10 gradi. Vai allo Stupa2 di Bodnath e gli manca la punta; fai la scalinata del tempio delle scimmie e, quando arrivi in cima, manca uno dei due Stupa che ornavano i lati... ma in mezzo a tutto questo i turisti, quei pochi, gironzolano, le scimmie cercano di “fregarti” gli occhiali da sole, i venditori ambulanti vendono i poveri oggetti d'artigianato come se tutto fosse, ancora una volta, normale, tutto come l'anno scorso.
La sensazione di normalità si ritrova anche fuori dalla valle3, quando si entra nelle zone rurali e poi salendo tra le montagne; qui le case sono fatte con materiali molto poveri e, spesso, si sono sbriciolate o si sono “sedute” su se stesse ma non c'è problema: due lamiere, quattro bastoni ed un tetto sulla testa ce l'hai, il peggio è già passato. I nepalesi sono sempre stati abituati a vivere con poco, una volta che non gli piove in testa va già bene così.

Ho anche realizzato come mai la richiesta di aiuti che sentivamo più spesso a casa era per acquistare lamiere: il panorama è costellato, in tutti gli angoli, di lamiere ondulate che faranno, per chissà quanto tempo, da casa per quasi tutti gli abitanti delle aree rurali. Conviene ricordarlo: la popolazione nepalese non riceve nessun aiuto per la ricostruzione delle sue case, gli aiuti internazionali, pochi o tanti che siano, serviranno per la ricostruzione delle aree monumentali e poco più. E' veramente necessario che chi può aiuti la popolazione, affidandosi ad iniziative come quella di Floriano Castelnuovo o quella di Finalefornepal, associazione a cui collabora l'agenzia che ha organizzato il nostro trekking. Le due citate, ma ce ne sono molte altre, sono iniziative destinate all'aiuto della popolazione, concentrandosi su progetti specifici come la ricostruzione di scuole, case ed infrastrutture locali senza l'intervento di alcuna mediazione.

     

Il Manaslu Trek è il meno frequentato tra i trek famosi del Nepal. E' anche quello di più recente apertura agli occidentali e da ciò consegue, rispetto ai fratelli grandi, una capacità ricettiva minore e con meno offerta.
Non si trovano, per esempio, lungo il percorso, le panetterie aperte da tedeschi sull'Annapurna trek; nei lodge (i rifugi) il menù è quasi sempre unico, senza molta possibilità di scelta e prevede quasi sempre solo dalbhat4 o riso saltato con verdure.
Il riscaldamento, nei lodge, si riduce alla sola stufa della cucina; nei locali comuni o nelle camere si fa senza. Capita quindi spesso, specie nei lodge in quota, di cenare vestiti di tutto punto con giacca a vento e cappello e, subito dopo, di andare ad infilarsi nel sacco a pelo già alle otto e mezza di sera.
In compenso, alla mattina ci si alza verso le sei, sei e mezza, dato che le tappe giornaliere sono piuttosto lunghe; in parecchie occasioni siamo arrivati alla meta serale con il buio totale.
L'indubbio vantaggio, per chi cammina, è la totale assenza di affollamento lungo i sentieri, cosa che negli altri trek è spesso un problema (magari non quest'anno, purtroppo).
Lungo il percorso si trovano molti villaggi i cui abitanti coltivano cereali e patate fino a quasi 4000 mt. Nei dintorni dei villaggi capita spesso di vedere le donne che portano grosse gerle stracariche di legna però, in compenso, capita anche di vedere gli uomini al fiume a fare il bucato!
Durante le tappe centrali del percorso si cammina a poche ore dal confine cinese e la popolazione, qui, è prevalentemente tibetana. Cambia anche la lingua, non ci si saluta più con il nepalese “Namasté” ma con “Tashi delek” espressione, appunto, di origine tibetana.
Il Manaslu è uno splendido ottomila (8163 mt) situato ad est del gruppo dell'Annapurna; il trek che percorre le sue valli dura almeno 13 giorni, culminando nel passo Larke La, a 5200 mt. Il giro completo è lungo circa 180 km ed il dislivello totale è pari a circa 10.000 mt. positivi.
Le prime tappe (si parte da seicento metri di quota) si svolgono in mezzo ai boschi, con livelli di umidità elevatissimi e fastidiosi. Poi, man mano che si sale, la vegetazione dirada (ma ci sono alberi fino a 3800-4000 mt), l'umidità diminuisce ed aumenta il freddo; nelle tappe più alte si dormirà anche a -1 gradi.
Verso i 2500 mt di altezza il Manaslu entra a far parte del panorama; da qui ci accompagnerà, sovrastandoci, fino a quota 3800. Il Manaslu è noto come la “montagna dei giapponesi” in quanto loro sono stati i primi a scalarlo; un po' come il K2, che è la “montagna degli italiani”.
Salendo ancora il Manaslu si nasconde e proseguiamo in vallate completamente spoglie fino ai 5200 mt del Larke La (La vuol dire Passo).
L'ultima tappa in salita, da 4400 mt al passo, prevede la sveglia alle 4 del mattino ma, tanto, quella notte lì hanno dormito ben in pochi. Come spesso capita, il passo, al di la del valore simbolico, non è il punto più memorabile del percorso; era meglio nei giorni scorsi, con il Manaslu sopra alla testa, o sarà meglio tra poco quando, cominciando a scendere, ci apparirà di fronte l'imponente gruppo dell'Annapurna.
Nella stessa giornata si scenderà poi fino a 3700 mt per arrivare quindi, con altri due giorni di camminata, alla fine del trek. 

Abbiamo avuto una fortuna incredibile con il tempo: ha piovuto una volta sola, di notte e subito dopo che eravamo arrivati in un lodge. Il mattino dopo c'era sole splendido.
Il rientro a Kathmandu, così come l'andata, si svolge su strade che, abitualmente, sono invase da un traffico caotico. Ora invece siamo praticamente soli: come se non bastassero i guai dovuti al terremoto, il Nepal in questo periodo è sottoposto ad un embargo voluto dall'India che, dopo le elezioni recentemente tenutesi in entrambi i paesi, sta spiegando ai piccoli vicini chi e come comanda in casa loro. Il risultato è la  quasi completa mancanza di carburanti, con conseguente crollo del traffico; per lo stesso motivo, tra l'altro, a Kathmandù manca spesso la corrente e, di notte, nel quartiere turistico si sentono i gruppi elettrogeni al lavoro. Va da sé, il resto della città è al buio.

 

                                                                               Marco Tricella

 

1 piazza principale delle città nepalesi. Come Piazza del Duomo da noi

2 monumento buddista dalle dimensioni molto variabili, da meno di un metro di diametro ad alcune decine. Spesso, al suo interno vengono conservate reliquie.

3 si chiama “la valle” perchè, un po' come Lecco, Kathmandù è circondata da tutti i lati da alture, però più basse e meno belle di quelle di Lecco. Non c'è il lago ma una volta ce n'era uno che riempiva tutta la valle. Poi, un giorno, è arrivato un dio che ha aperto le montagne, il lago se n'è andato ed è nata la città.

4 riso e lenticchie, il piatto nazionale nepalese. Si mangia facendo delle pallottole con le mani, un po' come il Tocc di Bellagio per capirci.  Buono ma, alla lunga...                                                  

 

IL GRINZONE n.54