Sfogliando i diari di Antonia Pozzi

 

  Antonia Pozzi mi si è avvicinata una quindicina d’anni fa e, in un certo senso, quasi per caso. Correva infatti il 2007 quando l’Università degli Studi di Milano le dedicava l’importante convegno …E di cantare non può più finire… Antonia Pozzi (1912-1938), convegno al quale ero stato invitato ad intervenire sul tema delle scritture private di Antonia. Per me il suo era, lo confesso, poco più di un nome depositato in qualche angolo della memoria. D’altra parte a quei tempi le erano state dedicate alcune biografie, qualche raccolta poetica e non molti studi critici: nulla di comparabile all’attenzione che in questi ultimi anni è stata tributata ad Antonia Pozzi, protagonista di numerosi studi e iniziative editoriali, peraltro quasi sempre di ottimo livello, atte a comprenderne e a diffonderne tanto l’opera quanto la vicenda esistenziale.
  Come accennavo, il mio primo incontro con Antonia è stato sulle pagine dei suoi scritti privati, ovvero di quei diari e di quelle lettere che, fin da tenera età, ne hanno accompagnato il breve tragitto terreno. In questo articolo incominceremo a soffermarci sulle pagine di diario, cui Antonia si dedica per la prima volta nel 1925. Quella che ci viene incontro è una ragazzina di tredici anni che si pone alla scrittura con la diligenza di una scolara.


Il Quaderno

  Si suole riunire le prime pagine del diario di Antonia Pozzi nel cosiddetto Quaderno, steso fra il 1925 e il 1927. Si tratta di pagine prevalentemente tramandate da quadernetti dei compiti, le cui molte correzioni fanno supporre che si trattasse – almeno per i primi scritti – della brutta copia di saggi scolastici.
  La giovanissima Antonia pone mano al Quaderno, per lo più, durante le vacanze natalizie del ’25 e durante quelle del ’26. La situazione seleziona gli argomenti trattati: Antonia racconta delle abitudini dei giorni di festa (la preparazione dell’albero, il resoconto dei doni, l’ozio, le visite ai parenti e agli amici ecc.), ma spesso vi accosta descrizioni paesaggistiche e ragionamenti di più ampia portata, come quelli sulla vastità dello spazio e sullo scorrere del tempo, mostrando una precoce e indubitabile predisposizione alla scrittura, peraltro precocemente virata a una visione poetica del mondo. Così per esempio annotava il 26 dicembre 1925, di ritorno da una visita all’adorata nonna Nena: 

Oggi siamo stati a Pavia, a trovare la nonna, e nel tornare abbiamo goduto di uno spettacolo indimenticabile. […] Laggiù, dietro un sottile ma fitto reticolato di rami brulli, il sole cala a poco a poco. E tutto è vermiglio intorno a lui, e irraggiano nel cielo delle nubi e si allungano, quali sanguigne lingue di draghi favolosi, su di un fondo azzurrino, che, in alto, si fa sempre più carico, ed è, sul nostro capo, del più bel turchino. Tremule occhieggiano le prime stelle.1

  Dal Quaderno ci si affaccia un’Antonia dal carattere riflessivo, ma capace di stupirsi ed entusiasmarsi per un paesaggio, per un dono, per un discorso o per un’intuizione, un’Antonia ragazzina che ama stare in compagnia, ma anche ritagliarsi momenti di solitudine per leggere o per svolgere i compiti


Le Note di viaggio

  Per quanto ne sappiamo, Antonia Pozzi non pone mano al diario dalla notte di San Silvestro del 1926, ultima occasione in cui aggiorna il Quaderno, alla primavera del 1933, quando affida a un piccolo taccuino, fittamente scritto a matita, alcuni appunti relativi a un viaggio in Sud Italia con la zia Ida. Un silenzio che è apparso troppo prolungato e che ha fatto sospettare che nella trasmissione delle pagine di diario, così come delle lettere e delle poesie, sia probabilmente intervenuta l’opera censoria di terzi e in particolare del padre Roberto; questi potrebbe infatti aver distrutto pagine a suo giudizio compromettenti per salvaguardare la memoria della figlia o per risparmiare alla moglie il dolore che le sarebbe potuto derivare dalla loro lettura.
  Lo stile delle Note di viaggio è completamente diverso da quello del Quaderno, e anzitutto per ragioni d’età, poiché la ragazzina è nel frattempo fiorita in una giovane donna – quando redige le Note, Antonia ha infatti da poco compiuto ventun anni. Sono inoltre cambiati l’argomento e il fine della scrittura diaristica, ora volta a fissare sulla pagina i luoghi visitati e le emozioni da loro suscitate, eventualmente per un futuro riuso poetico. Se possono così trovarsi puntuali richiami fra questi appunti di viaggio e alcune poesie scritte negli stessi dintorni di tempo, lo stile si fa nervoso, sincopato dall’uso martellante della lineetta. Le registrazioni dei flash impressi nell’iride di Antonia trasmutano ben presto, nella sua sensibilità poetica, in visioni più ampie, talvolta macabre; è per esempio quanto accade nella pagina del 9 aprile 1933, dove la raccolta di tre ciclamini da far essiccare, uno per sé e due per gli amici Lucia Bozzi e Piero Treves, innesca una visionaria ricognizione alla tomba del poeta Annunzio Cervi: 

Caserta – (1923) – Nei giardini inglesi, i ciclamini – proprio i ciclamini come i miei di Pasturo, ma senza odore – […] strano che fioriscano in questa stagione – cari – benedetti – i ciclamini del mio Morto – prima uno, poi due insieme (1+2=3) strappati di nascosto dal guardiano, rinchiusi nella borsa – a casa li farò seccare – uno per la Cia, uno per Piero, uno per me – saranno il simbolo dell’offerta nostra a Lui, dell’accettazione che tutti e tre abbiamo fatto della Sua formula – anche oggi – anche oggi saremo insieme su quella tomba – quando andrò a deporvi un fascio di ciclamini – sarà forse sotto i cipressi, o al sole, in fondo a un viale ghiaioso – m’inginocchierò – piangerò – quando mi rialzerò, sarò un’altra – una nuova anima – uscita da un lavacro di lacrime, riemersa dal Lete, redenta – 
chiusi gli occhi, serrate le mani, scenderemo tutti e tre nel buio, incontro a Lui diafano, sanguinante – lo abbracceremo – gli parleremo – ci parlerà – la sua voce – l’armonia buia della morte – l’onda oltreumana –


         


Il Diario

  I fiori faranno capolino anche nella prima pagina del Diario propriamente detto; lì si tratterà però «degli orribili fiori di celluloide rosa» che Antonia, studentessa universitaria, riferirà di aver visto nello studio milanese del professor Antonio Banfi, con cui stava svolgendo una tesi in Estetica. Per Antonia quei fiori erano «orribili» anzitutto perché finti e dunque incompatibili con il suo amore per la natura, ma forse anche perché le indicavano la distanza fra la spontaneità del proprio sentire e il mondo intellettuale del maestro.
  Come già le Note di Viaggio, anche il Diario viene ospitato da un esile quadernetto, scritto a matita, cui Antonia affida le sue riflessioni in undici occasioni, dal 1935 all’anno della morte, il 1938. Aggiornato senza alcuna regolarità, il diario non sembrerebbe per Antonia un confidente abituale, né la scrittura diaristica si configurerebbe come irrinunciabile funzione fisiologica, come tipicamente avviene per chi tiene un diario. Per Antonia una simile funzione veniva piuttosto assolta dalla scrittura in versi, che viceversa frequentava quasi quotidianamente, al punto da farle confidare all’amico Tullio Gadenz di «vivere della poesia come le vene vivono del sangue».3
  Le pagine del Diario sono immediate, senza filtri e senza limature stilistiche. Se il tratto calligrafico suggerisce che siano state stese di getto, d’altro canto sono pochi i segni di correzioni e non si notano cancellature, a parte quella, non completa al punto da impedirne la lettura, di un intero passo in cui Antonia allude al suicidio. Il suicidio proprio, futuro, e quello del collega di studi Gianni Manzi, avvenuto nel maggio del ’35; così annotava il 17 ottobre dello stesso anno:

– Qui, o si muore o si comincia una tremenda vita. Io non devo morire, perché la mamma, sentendo il tonfo del mio corpo sulla terrazza del piano terreno, griderebbe «cosa c’è», si affaccerebbe e la porterebbero morta anche lei nel suo letto. Io sono una donna, ma devo essere più forte del povero Manzi che si è ammazzato per una ragione uguale alla mia.4 

Le pagine del Diario toccano in buona sostanza temi di natura filosofico-esistenziale, prendendo la forma di annotazioni sparse ed estemporanee, a registrazione di riflessioni scaturite dagli eventi della giornata. Questa funzione pratica e pragmatica ne condiziona le scelte linguistiche nella direzione della libertà espressiva, agevolata anche dall’assenza di preoccupazioni – almeno stilistiche – derivanti da una possibile lettura da parte di terzi. Documento dunque di un percorso esistenziale più che testimonianza letteraria, per Antonia la scrittura del diario si configura di volta in volta come sfogo o come sforzo razionalizzante, a cui talora affidare, come già accadeva per le Note di viaggio, una prima impressionistica stesura di una ulteriore, futura e sbozzata, in poesia.
  Nel Diario Antonia si lascia andare, inesorabilmente trascinandoci con lei, alle sue riflessioni e alle sue malinconie. Così per esempio nella pagina che porta la data S. Silvestro 1936 – 1° gennaio 1937, nella quale fa un resoconto della sua vita, gettando sulla pagina pensieri sparsi che toccano i progetti imminenti, la nonna Nena, l’amore di una vita Antonio Maria Cervi e quello che fra di loro poteva essere, ma che non è stato, così concludendo:

Quanti mondi. Allora erano più grandi di me e mi chiamavano in alto, adesso sono più forti di me e mi schiacciano.
  Forse in primavera, quando i rami dei faggi, nei boschi di Pasturo, sono gialli di tenerezza, nel muschio umido spuntano a cartoccio le foglie liscie dei mughetti, allora forse il peso al capo si farà più plumbeo, allora cederò… E a Portofino, dalle due parti dello scoglio, il mare farà festa alle tombe dei bambini.5


                                                                               Giuseppe Sergio


1Le pagine di diario sono state pubblicate, per lo più parzialmente, in diverse sedi editoriali: qui cito da Antonia Pozzi, Diari e altri scritti, nuova edizione a cura di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2008, dove si può leggere anche la bella introduzione della stessa Onorina Dino. Il brano è citato dalle pagine 33-34. 
2Citato da A. Pozzi, Diari e altri scritti, p. 55.
3Le lettere che i due si sono scambiati si possono leggere in: Antonia Pozzi, Tullio Gadenz, Epistolario (1933-1938), a cura di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2008 (la citazione a p. 99).
4Citato da A. Pozzi, Diari e altri scritti, p. 47.
5Citato da A. Pozzi, Diari e altri scritti, p. 48.

 

 

IL GRINZONE n.75