1927: BAJEDO AGGREGATO A PASTURO

 

Il regio Decreto dell’8 dicembre 1927 n. 2441 chiudeva la vita del comune di Bajedo aggregandolo a quello di Pasturo. I 258 abitanti del “villaggetto” sotto la Rocca famosa cui aveva dato nome per oltre un millennio si trovarono di colpo “pasturelli”.

In quell’anno l’operazione di concentramento di comuni fu molto ampio ovunque e in Valsassina il 23 giugno aveva toccato Bindo aggregato a Cortenova, mentre l’11 novembre Vimogno, Barcone, Pessina e Cortabbio venivano uniti a Primaluna; le aggregazioni continuarono l’anno successivo: il 15 aprile Crandola con Vegno passò a Margno; lo stesso giorno fu aggiunto a Casargo anche Indovero; nella confinante Valvarrone i comuni di Tremenico, Introzzo e Sueglio divennero cosa unica con Vestreno capoluogo e pure Perledo fu sacrificato per Varenna.

Secondo l’Orlandi, già a partire dalla costituzione di un’unica parrocchia nel 1343 si era avuto fra Bajedo e Pasturo “una lenta evoluzione psichica, incessante benché non apparente”, per cui il Decreto Reale del 1927 era una naturale conclusione che venne accolta “senza recriminazioni e senza rimpianti”. Peraltro non sembrerebbe che la vantata evoluzione fosse così scontata per gli abitanti di Bajedo, poiché tanto ebbero a dire ai tempi di Maria Teresa d’Austria, obbligandosi a malincuore a cedere a Pasturo una porzione di territorio per salvaguardarsi l’indipendenza.



Altre aggregazioni erano già avvenute con il regno napoleonico, dettate per lo più da questioni funzionali, per cui ad esempio Barzio ebbe l’intero controllo dell’altopiano e Bajedo finì concentrato con Pasturo attraverso il decreto del Regno d’Italia (Napoleonico) del 4 novembre 1809. Al ritorno degli Austriaci nel 1816 però Bajedo si affrettò a rivendicare il ripristino dell’autonomia, che rimase pure dopo l’unità d’Italia, quando tante comunità dovettero sciogliersi generalmente per difficoltà finanziarie. Fu piuttosto il comune di Introbio che nel 1870 chiedeva a sé l’unione di Bajedo e Pasturo: le due comunità però rifiutarono davanti al sottoprefetto dato che la popolazione non avrebbe ricavato nessun vantaggio ed anzi gravi incomodi.


A Pasturo il podestà Ferdinando Merlo, insediatosi dopo due anni di vacanza dall’ultimo sindaco, prese l’iniziativa con delibera del 6 agosto 1927 per ottenere a Pasturo non solo Bajedo ma pure una porzione del territorio di Barzio sulla piana del fiume, comprendendovi l’ubertoso Prato Buscante dove sorgevano anche le note fornaci del Merlo stesso. Se l’istruttoria rimase favorevole a Barzio, che sollevò un gran polverone nell’opporsi a tale progetto, fu comunque velocissima per Bajedo, dove dal 1926 il Merlo già “regnava” quale podestà in comunione con Pasturo.

Era dunque, come si sa per gli altri casi, una operazione politica, da una parte di prestigio per collaudare le nuove forme di governo volute dal fascismo, e dall’altra per meglio controllare popolazioni non certo domate dal partito e dalle cosiddette riforme del 1923-1924. Ciò che è del tutto evidente per l’unione dei vari comuni in Lecco, avvenne anche per la Valsassina, dove il cartello dei “demoradicali cermenatiani” si era andato sfaldando da tempo, a favore del partito popolare, del quale nel 1920 era presidente circondariale il ragioniere Giovanni Battista Merlo di Pasturo e per il quale nella valle reggeva il comitato locale la maestra Bambina Ticozzi, un tempo simpatizzante di Cermenati. A Pasturo e a Bajedo nelle elezioni del 1921 (ma già nel 1919) il partito popolare era risultato vittorioso, come in tutta la Valsassina e il circondario stesso di Lecco: d’altra parte fin dal 1908 era evidente una certa presa delle Leghe cattoliche, molto attive nel campo della cooperazione, dei braccianti, degli allevatori e del credito con la cassa rurale di Cremeno.

Nonostante le squadracce fasciste della Valsassina fossero già in azione nel 1922, per la consultazione politica del 1924 il “listone” (o lista nazionale fascista-demoradicale) a Bajedo pareggiò e a Pasturo superò di un solo voto il partito popolare; il “listone” rimase comunque fortemente minoritario se si considera anche il risultato delle tante formazioni di opposizione, fra cui la lista dei contadini, che molti voti raccolse nella valle. Per di più si registrò nei nostri comuni come in tutta la Valsassina una fortissima astensione degli elettori. Era bene quindi per il fascismo assicurarsi la valle, eliminando i sindaci non allineati, attraverso il pretesto delle unioni amministrative proposte come più efficaci, mentre in realtà i nuovi comuni erano visti come le cellule dello Stato “integralmente nazionale” proclamato da Mussolini, cioè una proiezione del governo; per questo dovevano essere privi di rappresentatività democratica della gente, prima espressa attraverso i partiti, man mano sciolti o messi in mora. Così già nel 1924 si predisponeva il processo di unificazione, sostituendo ai sindaci un commissario, il cavaliere Ferdinando Merlo, un industriale influente in grado di indirizzare alla normalizzazione una forzata amministrazione unificata. Abili, paternalisti, ma improntati a zelo collettivo, simili persone erano capaci di investire in una immagine di efficienza la vincente più ricca borghesia da tempo conquistata al fascismo.

Certo si avviarono anche opere utili, in specie nel capoluogo, ma Bajedo intanto perse il Circolo vinicolo e il dopolavoro La Rocca, assorbiti dalle strutture del Comune sindacale-cooperativo, come a Pasturo avvenne con la stessa Banda,fondata nel 1922 e "ricostituia" nel 1926.

                                                             

                                                                                                         Angelo Borghi


IL GRINZONE n.21