LASCO, IL BANDITO DELLA VALSASSINA, E LA ROCCA DI BAIEDO

 

Quante volte parlando della Rocca di Baiedo si sente dire che era il luogo dove s’ergeva il castello del Lasco; notizia priva di fondamento poiché Lasco non è mai esistito, è mia intenzione chiarire l’equivoco parlando di questo personaggio e dando alcune notizie sulla Rocca di Baiedo.


Amatore Mastalli di Cortenova morto nel 1883 ideò il romanzo “Lasco di Valsassina”, inedito, che pervenuto in possesso di Antonio Balbiani da Bellano, fu rielaborato e pubblicato con il titolo “Lasco il bandito della Valsassina”. La prima edizione, stampata nel 1871 da Francesco Pagnoni a Milano, uscì in 30 dispense da 16 pagine l’una per un totale di 480 pagine, con illustrazioni. Tale fu il successo che si ristampò subito una seconda edizione in tre volumi. Nel 1939, cessata ormai da parecchio tempo l’attività della casa editrice Pagnoni, apparve sul mercato una ristampa ridotta del romanzo; ritenuta troppo pesante la parte storica, venne tagliata in malo modo, sminuendo il valore del testo originale. Quest’ultima edizione fu poi ripubblicata nel 1981 dal Giornale della Valsassina. Tutte le edizioni del “Lasco” sono praticamente introvabili; sarebbe bello poter vedere una nuova ristampa, soprattutto nella stesura originale.

 

La storia narrata è quella del conte Sigifredo Falsandri signore della Rocca di Marmoro (nei pressi di Perlasco) una specie di dottor Jekyll e mister Hide che di giorno, nei panni del Buon Signore si dimostrava caritatevole aiutando la popolazione, mentre di notte si trasformava nel bandito Lasco e, con i suoi bravi, inscenando la “caccia selvatica”, rubava ed uccideva senza pietà terrorizzando tutta la Valle. La vicenda, si svolge nella seconda metà del 1600, intrecciandosi con la storia della Valsassina e le sue leggende, specialmente quelle raccontate nelle “filere” che quasi sempre avevano per tema streghe e folletti; alcuni capitoli sono, infatti, dedicati alla “Strega di Tartavalle”, la cui unica colpa fu di aver curato tante persone con quell’acqua ferruginosa, da lei scoperta, che per tanti anni fu vanto della Valsassina. Il nome di questa strega “Bissaga”, processata a Introbio e poi messa al rogo venne dato a un sentiero che unisce Perlasco a Taceno.

Alcuni episodi di questo romanzo si svolgono sulla Rocca di Bajedo perché Ugo, il figlio del conte di Marmoro è fidanzato con Celestina, figlia della contessa Rosalba, cugina del “Lasco” e castellana di Bajedo.

 

“Lasco” era un romanzo di tal popolarità che ne fu tratto anche una pièce teatrale grande successo dell’Angiolin dell’Italo e della Filodrammatica d’Introbio.Era famosa nell’ultimo dopo guerra la compagnia teatrale “Il Carro di Tespi”, una famiglia di attori professionisti che girava l’Italia (con palcoscenico e salone prefabbricati) portando il teatro anche nei piccoli paesi. Negli anni 50 questa Compagnia arrivò in Valsassina, mise in scena spettacoli sia a Pasturo sia a Introbio; in quest’ultimo paese, unitamente alla Filodrammatica locale, rappresentò il “Lasco” con notevole successo, tanto da stare in cartellone per diversi giorni col tutto esaurito. La Filodrammatica d’Introbio organizzò anche rievocazioni storiche all’aperto, nei pressi di Perlasco, proprio nei luoghi dove sorgeva la Rocca di Marmoro.

 

All’inizio degli anni 60, il Pittore Bellanese Giancarlo Vitali, mentre si trovava a Pasturo per affrescare e restaurare la chiesa parrocchiale, realizzò le scenografie (ancora esistenti) per un’edizione del “Lasco”, che fu rappresentata, con successo dalla Filodrammatica Pasturese. Dimenticato per anni il romanzo di Antonio Balbiani, è ripreso nel 2001 dalle scuole elementari di Cassina che, con la regia di Isa Pensotti e delle altre insegnanti, ne fanno un filmato sceneggiato dagli alunni di quarta e quinta elementare.

 

Nel periodo storico in cui si svolge questa storia il castello della Rocca di Bajedo era già stato distrutto da più di cent’anni; Paride Cattaneo Torriano, Giuseppe Arrigoni e Andrea Orlandi, con i loro scritti, ci tramandano alcune informazioni.

 

Giuseppe Arrigoni (Introbio 1811 - 1867), nel suo libro “Notizie Storiche della Valsassina” (Milano 1840) scrive: “Il castello di Baiedo probabilmente venne costruito dai Romani, i quali per consiglio di Caio Mario, dopo che fu sconfitto dai Cimbri (101 A. C.), tenevano custodite le gole dei monti, e le chiamavano portae, e poi clusae, in italiano chiuse, vale a dire fortezze castelli; donde trassero forse la denominazione i forti di “Portone e di Chiuso”.

 

Dal libro “La Rocca di Bajedo in Valsassina” (Lecco 1911) autore Andrea Orlandi (Pasturo 1869 – 1945) possiamo rilevare le seguenti notizie:

Una pergamena del 975 è il primo scritto finora conosciuto che riguarda la Rocca di Baiedo unitamente alla Corte dei Prati Bruscanti (Prati Buscanti).

Nel 1513 i Valsassinesi, con a capo il Prevosto di Primaluna e i Della Torre, chiesero ai Francesi di gettare a terra” il castello di Baiedo; la demolizione fu affidata a Stefano Andreani di Corenno Plinio il quale donò un cannone della Rocca al Prevosto di Primaluna. Il bronzo di questo cannone venne usato per fondere una campana.

Una tradizione locale dice che sulla Rocca di Baiedo doveva sorgere il Santuario dell’attuale Sacro Monte di Varallo, pare che il nobile milanese il Beato Bernardino Caimi dei Minori Osservanti, quando tornò in patria, dopo essere stato qualche tempo guardiano del Sacro Monte del Sinai, visitando la Valsassina giudicò la Rocca di Bajedo tra le montagne più somiglianti al Monte Calvario; non si sa perché la preferenza sia poi stata per un altro luogo.

 

Paride Cattaneo Della Torre, cronista valsassinese (Primaluna 1531-1614), nella sua “Cronaca dei Torrioni e Descritione della Valsassina” la descrive così: ”Era la rocca di Bajedo luogo importantissimo per arte e per natura ed estimata inespugnabile. Era posta sur un’eccelsa rupe che quasi promontorio si distacca dalla catena dei monti e si protende a rinserrare la valle, non lasciando che un varco non più largo di cento braccia, fra cui scorre e rumoreggia la Pioverna fra altissimi precipizi. Da tre parti la rupe e scabra ed irta sì, che quasi a perpendicolo la diresti; dall’altra, con cui si unisce al monte, dava l’accesso alla rocca, ma talmente difesa era da baluardi, antemurali e torri, che lunga opera fora stata il superarli. Sull’opposto scoglio, pure da tre parti inaccessibile, sorgeva un altro fortino, e fra l’uno e l’altro, vo’ dire la spaccatura, era chiusa da muraglie e da trincere. Un ponte a due archi, costrutto già dall’arcivescovo Giovanni Visconti, che fu poi rovinato da una irruzione del fiume circa il 1550, congiungeva le due opposte sponde e dava passaggio ai viandanti. Veniva chiusa da porte di ferro ed era guardato da una torre, di cui si mirano tuttora le reliquie…..Al presente alcun vestigio di muraglie non si vede, se non un certo pilastro dove sopra vi è dipinta la figura di Santa Barbara et altri pezzi di fondamenta et la cisterna nel mezzo”.

 

Leonardo da Vinci fu incaricato da Ludovico il Moro di studiare la ristrutturazione delle fortificazioni di Baiedo. Non sappiamo se tale ristrutturazione fu effettuata. Dello studio di Leonardo rimane una descrizione della Rocca con relativo disegno presso il British Museum a Londra. Un plastico ricavato da questo disegno si può vedere al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

 

Del castello rimangono solo pochi ruderi riportati alla luce da Gianpiero Monguzzi, a fine anni 50 in accordo col proprietario ing. Nino Cugnasca, ruderi che col passare degli anni e l’imboschimento del luogo vanno pian piano scomparendo; ben visibili sono invece quelle sfere di sasso, munizioni delle bombarde della Rocca, che ancor oggi adornano i portali di alcune case di Pasturo e Baiedo

 

Gigi


IL GRINZONE n.2