I MIRACOLI DI SANT'ANTONIO DI PADOVA

NELLA CHIESA DELLA MADONNA DELLA CINTURA (E NON SOLO)

 

Sull’ultimo numero de “Il GRINZONE” si è cercato di ricostruire, sia pure per sommi capi, la storia della cappella laterale destra dedicata a san Francesco Saverio nella chiesa della Madonna della Cintura soffermandosi in particolar modo sulla pregevole pala d’altare, di autore ignoto ma sicuramente di raffinata maestria, nonché sul Santo di destra in essa raffigurato che è stato identificato con sant’Alberto di Trapani.
Su questo numero ci occuperemo, invece, della cappella laterale sinistra, eretta nel 1622 e intitolata al protettore contro la peste, san Carlo Borromeo, da poco salito agli onori degli altari (la sua canonizzazione avvenne a Roma il 1° novembre 1610 per interessamento, tra l’altro, di un valsassinese, l’oblato Marco Aurelio Grattarola di Casargo, che fu il postulatore della causa), e al santo taumaturgo per antonomasia, portoghese d’origine, sant’Antonio di Padova.
Delimitata da una balaustrata in marmo del primo Settecento, come pure l’altare ornato da un paliotto in cuoio con al centro un medaglione dipinto raffigurante la Madonna con il Bambino tra i santi Andrea e Pietro Martire, la cappella presenta una elegante decorazione in stucco che investe l’ancona con due lisce colonne dal capitello corinzio reggenti un timpano spezzato, la volta e le pareti laterali.
La tela che la domina sostituisce un quadro (che costò lire 180) dipinto nel 1623 da Gio. Pietro Ferabosco, pittore intelvese attivo anche a Dervio, raffigurante i santi Giacomo (titolare della chiesetta), Carlo e Antonio (contitolari della cappella). Firmata e datata da Aloisio Reali nel 1660 (come si legge in basso a destra della tela: “ALOISIVS REALIS FLORENTINVS PINGEBAT A(NN)° MDCLX”), l’attuale pala, collocata il 9 luglio di quell’anno, raffigura l’Immacolata Concezione tra i santi Monica, Carlo, Antonio di Padova e Agnese nel cui sfondo tradizionalmente si riconosce una veduta di Pasturo, per la precisione l’abitato sotto Prabello e la costa di Baiedo. Al centro della composizione è raffigurata l’Immacolata secondo un’iconografia largamente diffusa in età post-tridentina: Maria, in veste bianca, avvolta in un mantello azzurro, sta in piedi sopra il serpente-dragone, con le mani giunte; sul capo una corona di dodici stelle e raggi dorati che si dipartono raggiungendo eteree testine d’angelo, vaporose quanto le nuvole circostanti. Ai lati si dispongono, specularmente, santa Monica in abito monacale e san Carlo in paramenti vescovili a sinistra, e sant’Antonio di Padova in abito francescano, con un libro, il giglio bianco (simbolo di purezza) e il Bambino in ricordo di una visione, e sant’Agnese con l’agnello e la palma del martirio a destra.
Sulle pareti laterali, entro cornici in stucco con testine d’angelo ascrivibili agli Aliprandi di Pasturo che tra il 1670 e il 1673 avevano magistralmente realizzato gli stucchi del presbiterio con cinque affreschi di autore ignoto, sono poste due tele raffiguranti altrettanti Miracoli di sant’Antonio di Padova. Le opere non sono né datate né firmate ma sulla base di considerazioni stilistiche, in attesa di eventuali affondi archivistici, possono essere ragionevolmente attribuite, come mi conferma anche Giovanna Virgilio che ringrazio, alla bottega familiare dei Vignati largamente attiva in Valsassina tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento (loro opere si possono ammirare a Baiedo, Cortabbio, Introbio, Parlasco e Primaluna).
Quanto al soggetto iconografico raffigurato sulle due tele, nessuno dei due miracoli rientra fra quelli più noti ma, grazie ai suggerimenti dell’amico Mauro Mazzucotelli, siamo in grado di poterli identificare.
Entrambi ambientati a Napoli, sottolineano la protezione del Santo in favore dei poveri, e possiamo intitolarli, rispettivamente “Sant’Antonio costringe un avaro, già condannato all’inferno, a rendere giustizia al suo inquilino” e “Sant’Antonio procura miracolosamente la dote a una giovane”.

Nella prima tela, come si vede nella raffigurazione fedele ai dettagli narrativi, sant’Antonio porta alle falde del Vesuvio un povero inquilino al quale il suo vecchio padrone di casa, quand’era in vita, non rilasciava mai la ricevuta di pagamento dell’affitto. Una volta morto, il poveraccio finisce in balia degli eredi avidi e invoca il Santo che richiama dall’inferno il proprietario e gli eredi nel frattempo morti e fa firmare a quello la ricevuta prima di spedirlo di nuovo all'inferno.


Anche la scena, altrettanto ricca di dettagli narrativi, rappresentata nella seconda tela, ha bisogno di una premessa per essere compresa. Una giovane napoletana, spinta dalla madre alla prostituzione per procurarsi la dote matrimoniale, aveva ricevuto da sant’Antonio un biglietto con l’invito a un ricco mercante perché le consegnasse monete d'argento corrispondenti al peso del biglietto stesso. Ed ecco narrato il miracolo nel nostro dipinto: il mercante, di fronte a madre e figlia colte da evidente stupore, è costretto a porre sempre più monete sul piatto del bilancino per poter raggiungere il peso del biglietto!
Altri “miracoli” del Santo dei Miracoli si possono ammirare in altre chiese della Valsassina, il cui culto era ed è particolarmente diffuso. A Premana, nella chiesa di S. Dionigi, c’era una cappella laterale dedicata al Santo patavino ripristinata il 13 agosto 1662 per interessamento del benemerito parroco Domenico Maggi. Della scomparsa cappella si sono salvate le tele che ne costituivano la pala: un dipinto, eseguito nel 1665 e attribuito a Riccardo Taurini, raffigurante il Santo di Lisbona rappresentato in modo tradizionale, con innanzi a sé il piccolo Gesù e attorno uno stuolo di angioletti, e due ante richiudibili raffiguranti Miracoli di sant’Antonio di Padova commissionate dal parroco Maggi nel 1666 e sempre attribuite al Taurini. La prima anta illustra, in alto, il miracolo della pioggia: a Limoges, durante un sermone del Santo, scoppia un violento temporale ma la pioggia non bagna la folla accorsa numerosa per ascoltarlo; in basso è raffigurato il miracolo del bimbo caduto nell’acqua bollente: una donna, con l’intenzione di fare il bagno al figlioletto, nel fervore di andare ad ascoltare il Santo, depone il bimbo nella caldaia anziché nella culla; accortasi, torna a casa trafelata e trova il bimbo nella caldaia intento a giocare con l’acqua bollente. La seconda anta mostra, nel riquadro superiore, il miracolo del giovane resuscitato: il Santo, prodigiosamente trasferitosi in Portogallo, risuscita un giovane, che era stato assassinato e nascosto nell’orto del padre di Antonio, perché riveli l’identità del suo assassino; nel riquadro inferiore è il miracolo del piede riattaccato: un padovano, dopo aver dato alla madre un calcio così forte da farla cadere a terra, confessatosi, prende alla lettera le parole del confessore e si recide il piede che il Santo poi riattacca. Sempre a Premana, nella chiesa dell’Immacolata è conservata una lastra in marmo nero a forma di ottagono allungato su cui è dipinto il Miracolo della mula compiuto da sant’Antonio di Padova (inizio XVII sec.): una mula si prostra davanti all’ostia consacrata che il Santo tiene in mano. Il tema di questo miracoloso evento fu ripetutamente accolto nell’arte, sì che rimangono molteplici versioni di tale prodigio antoniano.
E per finire, nella chiesa di S. Antonio abate a Crandola, nella cappella laterale sinistra dedicata a sant’Antonio di Padova, fa bella mostra di sé un pregevole dipinto seicentesco che risente del linguaggio artistico di Aloisio Reali raffigurante ancora una volta il Miracolo della mula compiuto dal Santo portoghese con stemma della famiglia Gussalli che commissionò l’opera nel 1668, come si ricava dall’iscrizione accanto all’emblema (“PIETRO MARTIRE GVSALE. / DI CRAИDOLA PRO SVA. / DIVOCIOИE. / AИИO. 1668.”).


                                                                       Marco Sampietro


IL GRINZONE n.42