PUERI CLAMABANT DICENTES:

"BENEDICTUS QUI VENIT IN NOMINE DOMINI"


18 Dicembre 1962: che cosa ci ricorda questa data? Certo è una data difficile da trovare nei libri di Storia, probabilmente in quel giorno non ci sono stati eventi particolari a livello nazionale, ma per la storia del nostro paese, proprio in quella data è stato portato a termine e firmato l’affresco che si trova nella cappella a lato dell’altare maggiore della Chiesa Parrocchiale, la “Cappella dei bambini”. Da quando è stata costruita, nei miei periodi pasturesi, ho sempre avuto l’abitudine di ascoltare lì la S. Messa, approfittando ogni volta, magari durante le omelie, per dare una “sbirciata” ai volti che guardano dalla parete, volti di bambini di Pasturo e Baiedo di quell’epoca, alcuni prematuramente scomparsi, altri, oggi, papà e mamme e qualcuno anche nonno, ma quasi tutti, nonostante i quarant’anni trascorsi, ancora riconoscibili.

Anche se ho ben vivo il ricordo di quando è stato realizzato l’affresco, non ho mai saputo la sua storia: come è nata l’idea, il perché del soggetto… Per appagare la mia curiosità, dopo aver coinvolto la Redazione del Grinzone, mi sono recato con Guido a Bellano, ad intervistare il pittore Giancarlo Vitali che, con Gino Garoli e Vincenzino Boarin, è stato uno degli autori.

Veniamo cordialmente accolti nello studio dal pittore ed inizia la nostra intervista...

 

Vorremmo scrivere sul Grinzone la storia dell’affresco…

Ecco, una gran storia ghe l’ha miga sto’ affresco, nel senso che è nato banalmente così: l’avrebbero dovuto fare Garoli e Boarin, era una specie di premio, una promozione, che el don Tullio el ghe dava perché loro avevano lavorato con me nel restauro della chiesa. Erano due ragazzi molto bravi tecnicamente, la sapevano lunga nell’ambito del loro lavoro; come decoratori sapevano tante cose, avevano un allenamento notevole; dopo i gh’aveva el vizzi de vorè fà el pitor, lì ghe voeur un respir divers...


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Quindi l’affresco è sorto da un’idea di don Tullio...

Don Tullio chiaramente el me diseva de dagh un premi a sti fioeu; anche loro probabilmente esprimevano il desiderio di lasciare qualcosa di personale, e allora salta fuori l’invenzion di questa parete: coi lavori avevano sfondato la ex sacrestia e avevano creato la cappella e el don Tullio el me dis de fagh affrescà la paret. I due presentano un bozzetto, ma era una roba di una banalità incredibile, el sembrava un disegn d’un fioeu de scola, “La fuga in Egitto”, un asnin con su una Madonnina e un San Giusepp, insomma una parete di dieci metri con quelle tre figure in centro, dopo c’eran le dune, una palma... ; era un bozzetto a tempera, banale anche come esecuzione; Garoli e Boarin si riferivano alla scuola del Beato Angelico, quindi il trecento italiano, i senesi, il Beato Angelico stesso, per loro erano il massimo e credeven, nel domila ormai, de andà avanti a piturà in quella manera lì. El don Tullio, quand gh’è capità quella roba lì sotta i oeucc, l’è vegnuu de corsa a cercamm (chissà che bofade), “Damm una man perché mi adess so pu cosa fà..., adess cosa ghe disi...”

Perché glielo aveva promesso e adesso ne era quasi pentito...

Così è andata, come vi raccontavo. E allora una sera, adesso non ricordo più i particolari, emm combinàa la solita cena su dai Mazzoleni; una quai bottiglia e dopo semm fini giò in sacrestia...; io avevo già pensato... (credo che l’idea dei bambini fosse nata sicuramente dal don Tullio, era la cappella dedicata ai bambini), ad un argomento, ad un soggetto che riguardasse i bambini, e allora è saltàa foeura st’idea dei bambini che i va incontra al Signor all’entrata in Gerusalemme. Da lì poi Gerusalemme l’ho fatta diventare Pasturo e i bambini quelli di Pasturo, buona parte per lo meno e allora se tratava di conclud, ... emm fa tutta una sceneggiada... Io lì avevo tutti i miei materiali, tiro fuori una cannuccia, un carboncino e comincio a dire che sarebbe bello, invece di tre figure smilze, riempire la parete; un poo de pausa, cioè.. cioè.. io farei così… e intanta che el disevi tiravo giù quattro righe...

9 puer2Intanto che dicevi “farei”, senz’altro avrai disegnato il bozzetto...

E’ stata proprio un po’ una ruffianata davvero, d’altra parte... loro hanno cominciato un po’ a preoccuparsi e allora ho detto: “Se non avete problemi femel insema…” Così è nato quest’affresco. Devo dire però che la collaborazione dei due è stata veramente preziosa, da solo non avrei potuto realizzare l’opera, anche perché non ero tecnicamente preparato per una roba inscì, quindi ripeto che il loro contributo, specialmente quello del Garoli è stato veramente prezioso, anche perchè lui ha usato una tecnica...

In effetti siamo molto curiosi di sapere qualcosa anche sul come l’avete dipinto…

Come dicevo, è stato Garoli a dire “Sarebbe bello... ho pensàa... io conosco una ricetta, l’hoo mai doprada, però si potrebbe tentare...”. Si trattava di fondere la cera con l’acqua, miga una roba semplice, e non so se l’è andà a cercà sui libri ma finalment un dì el riva con le idee precise e el dis “Bisogna far bollire la cera con l’acqua a bagnomaria, una pignatta grande e l’altra piccola dentro, e durante l’ebollizione aggiungendo soda caustica avviene il miracolo; la cera fonde, si amalgama con l’acqua e nasce un composto oleoso al quale mescolare in un secondo tempo i colori”. Allora femm sta operazion nello spazio sotto la sacrestia, de fò de la cà del don Tullio.

Dove facevi le tue prove di pittura sui muri, probabilmente ne è rimasta ancora qualcuna...

No, gh’ha de vessegh suu pu negott. Avevo dipinto il ritratto della “Lupina”, ma poi l’ho strappato e attualmente ce l’ho io. Ma torniamo al nostro esperimento: a un certo momento, la prima volta, e per fortuna eravamo a una certa distanza, non sapendo le dosi esatte della soda caustica, la pignata piccola, “BOOM”, l’è partida come una bomba; se ghe fudess el don Tullio te la cuntaress, lu poo che el se agitava per negott l’ha cominciàa a corr e scapà, insomma la pignatta la s’è alzada su mezz metro, se serem lì visin la ghe copava tucc… Comunque dopo, emm rifàa st’operazion, e dopo un quaj dì l’è andata bene, “puff”, e tutto si è sciolto. Allora il colore veniva macinato e impastato con questo liquido e poi potevi dipingere. Facevamo un metro quadro per notte; poi dipendeva, dove pitturavi il paesaggio potevi anche correre un po’, ma se c’erano tante teste da dipingere dovevi rallentare…

Perché di notte?

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Non mi ricordo più l’esatta ragione, probabilmente digiorno lavoravamo in chiesa, infatti non era ancora terminata. Abbiamo finito il18 Dicembre e l’avevamo cominciato in Novembre, un frecc, non vi dico il freddo che faceva anche perché lavoravamo fino alle tre o alle quattro di mattina; il muratore, il Donghi aiutato dal Lisandro Bergamini “Moscon”, tirava su l’intonaco e noi dipingevamo normalmente come per fare un affresco; a opera finita avevamo delle “soppresse” fatte come frattazzi da muratore, in ferro col manico di legno; queste venivano tenute costantemente nella brace accesa a scaldarsi; <>i>quand i deventava ross, e come dicevo a opera finita, passavamo questi ferri roventi sul dipinto, così la cera veniva a galla. Gli affreschi normali sono generalmente porosi eopachi, mentre questo, grazie ai colori a cera e al trattamento del calore, si presenta lucido, quasi vetroso, tanto che lo si può pulire lavandolo delicatamente con acqua: naturalmente queste operazioni vanno affidate a persone esperte del mestiere. Pochi anni fa, passando da Pasturo, mi sono recato in chiesa per guardarlo; il parroco era assente, così non ho potuto accendere le luci ma, nonostante i quarant’anni passati, l’ho trovato in buono stato, anche se molto sporco; sarebbe proprio il caso di ripulirlo… La tecnica che abbiamo utilizzato è una tecnica difficile, anche se non siamo arrivati all’estremo risultato, abbiamo senz’altro fatto un’opera dignitosa*; l’unico pericolo che ho notato l’è che se se sara de bott la porta della sagrestia, gh’è l’impression che la paret la balla e la podaress creppass e scrostà una quaj part, ma se no, una tecnica così, in un posto riparato, la dovaress durà dei secoi.

E l’idea di raffigurare i bambini di Pasturo di chi è stata?

E’ venuta fuori un po’ così, parlando con don Tullio: alcuni bambini li ho fatti posare in sacrestia, altri li ho ripresi andando nelle scuole, specialmente a Baiedo dove c’era la quarta elementare; io ho disegnato le teste, ho realizzato i cartoni da spolvero e poi le ho dipinte sul muro, i corpi e altri particolari di contorno sono stati dipinti da Boarin e Garoli.

A questo punto Giancarlo Vitali ci mostra una fotografia dell’affresco scattata appena terminato il lavoro: come se fossero passati solo pochi giorni comincia a descriverci alcuni bambini…

Questa qui è la Donatella Bonasio, questo l’è el bagai del tabachin (Bruno Ticozzi): io mi divertivo, mi ricordo che nonostante un problema a una gamba l’era un disperàa, sempre in moviment e allora mi l’ho metu su una pianta; quest chi l’è el fradell del don Fernando (Guido Mazzoleni), anche lui, perché l’era un “ciccion”, l’ho metu su una pianta; poi qui nell’angolo in basso ho dipinto mia figlia Sara e mio figlio Velasco; appoggiata alla pianta la figlia del prestinèe (Nicoletta Ticozzi) e subito dietro il figlio del Ferruccio Carozzi (Gabriele); là ce ne sono due di Baiedo, uno che era già grande (Giancarlo Bergamini) e un altro che ride sornionamente (Sergio Orlandi Arrigoni); quello scuro di carnagione stava qui vicino alla chiesa (Giacomino Perondi), poi c’è la Maria Teresa Bergamini e quella rossa di capelli (Aura Arrigoni) e tanti, tanti altri…

Sono passati quarant’anni ed è sorprendente come Giancarlo Vitali ricordi ancora il nome di tanti bambini, come erano, cosa facevano, dove abitavano… E loro, i bambini di quarant’anni fa, cosa ricordano? Ci aspettiamo che almeno qualcuno ci racconti la propria esperienza, così da completare – a futura memoria – un pezzo di storia del nostro paese.

                                               

                                                                             Gigi e Guido

 

 

IL GRINZONE  n. 9