ENRICA TRICELLA


“Quella donna piccola, minuta ma piena di energia, che abita nella villetta a fianco della palazzina Stella Alpina”: così viene spesso identificata la signora Enrica Milanesi Tricella.
La si incontra spesso sulla strada che da casa sua conduce al cimitero, dove si reca per ricordare il marito Edoardo, il figlio Riccardo e da poco anche la sorella Carla.
Milanese a tutti gli effetti (anche nel nome…) ma pasturese d’adozione o meglio per scelta, come afferma durante una piacevolissima conversazione.
Pasturo me l’ha fatto conoscere mio papà che lavorava dagli Asti, i quali allora gestivano una ‘riseria’ che da Abbiategrasso avevano trasferita a Milano in Via Carlo Dadda. Lavorava da loro fin da prima della guerra (è stato un ragazzo del  ’99) ed ha continuato anche dopo fino al 1936. Nel frattempo nel ’29  si era sposato ed eravamo nate io (nel ’30) e mia sorella Carla nel ’32. Il papà girava col camion a portare il riso ai vari clienti e veniva anche a Pasturo: il deposito era presso la casa con gli archi di fronte alla Chiesa Parrocchiale. Al ritorno portava genziana ed altre radici medicinali per le farmacie milanesi. E a noi parlava sempre di Pasturo e delle bellezze della montagna”.

Nel 1936 i genitori di Enrica decidono di aprire un negozio di alimentari, con salumeria e drogheria, in Via General Govone; d’estate il papà “approfittava” dei clienti conosciuti col trasporto del riso per chiedere loro se potevano ospitare per le vacanze le due figlie, ancora piccole. Ogni estate sceglieva per loro una località diversa, da Inverigo a Caslino d’Erba a Codesino di Casargo ed altri paesi ancora. Diventate più grandi, le due sorelle hanno voluto organizzarsi da sole e dopo la guerra, nel 1947, assieme a dei cugini sono venute a trascorrere l’estate a Pasturo, in affitto nella casa Bregaglio. “Poi l’anno che dovevo sostenere la maturità (1949) ho voluto venire qui da sola per preparare gli esami, alloggiata presso la signora Caterina Galbani, di fronte all’Albergo Grigna”.

Enrica inizia a lavorare, all’età di 17 anni, in un Ufficio di Rappresentanza in Via Orefici. Poi, avendo deciso di conseguire il diploma di ragioneria, si iscrive alle serali all’istituto “Alfieri” in Galleria del Corso. “E’ lì che ho conosciuto Edoardo, il mio futuro marito; dopo la guerra, dovendo pensare a trovare presto un lavoro, aveva interrotto il liceo classico per iscriversi anche lui a ragioneria. Ci siamo sposati nel ’53 e quando è nato Marco, nel 1956, ho deciso di tornare a Pasturo dove abbiamo trovato un appartamento in affitto dagli Agostoni.
Pasturo piaceva molto soprattutto a me ma anche a mio marito e ai miei genitori. Per questo, quando non è più stato possibile l’affitto, abbiamo deciso, la mia famiglia ma anche quella di mia sorella e soprattutto con l’appoggio dei nostri genitori, di costruire la casa dove abitiamo ancora oggi”.

        

Quando nel 1958 è nato il secondogenito Riccardo, Enrica decide di licenziarsi per seguire la famiglia. “Questo mi ha permesso di venire più spesso a Pasturo dove mi sentivo veramente di casa. Mi piaceva essere circondata dal verde delle montagne e fare spesso delle lunghe passeggiate. Anche Marco e Riccardo erano felici quando stavamo qui e posso dire che sono cresciuti a Pasturo dove sono sbocciate delle amicizie che continuano tuttora. In particolare d’estate in casa c’erano anche molti loro amici che spesso si aggregavano a noi quando si saliva a qualche rifugio o si andava per funghi. Quando partivo ero sempre attorniata da un nugolo di  bambini che mi rendevano contenta; devo dire che anche le loro mamme erano ben felici di affidarmi i figli ed essere un po’ libere… Ricordo che anche tu facevi spesso parte della ‘combriccola’: facevi delle gran sudate e poi dovevi correre a casa per andare alla Messa..”.

Ma poi i figli crescono …

Devo dirti che, quando Marco e Riccardo sono diventati grandi, ho pianto perchè mi sono sentita quasi abbandonata: Marco sempre nella sua stanza con le radio (possiamo dire che la prima sede di Radio Popolare è stata casa nostra!); Riccardo a giocare al pallone o con gli amici e io, che pure di fondo sono una solitaria, avvertivo il loro ‘uscire dal nido’. Erano molto diversi e ciascuno aveva le proprie passioni. A entrambi però piaceva molto la montagna: anche la scelta lavorativa di Marco (segue, monitora e ripara le antenne sulle varie montagne) è maturata dentro questa passione. Quando poi ha acquistato la cascina a Piazzo ed è riuscito a sistemarla ha coronato un sogno”.

           

Enrica nel 1974, quando i figli erano ormai grandicelli, decide di riprendere il lavoro e fa un’inserzione sul giornale: riceve tantissime proposte (fortunatamente allora il lavoro non mancava!) fra cui sceglie “Donna Elissa”, specializzata nella produzione di borse in pelle di coccodrillo. Lì lavora fino al 1985, quando anche il marito Edoardo, che aveva sempre lavorato alla Banca Commerciale Italiana in Piazza della Scala, va in pensione. Purtroppo, appena sei mesi dopo, il marito muore e per Enrica è una grossa sofferenza. Ancor di più nel 1993 quando, per un tragico incidente, muore il figlio Riccardo. “Lavorava in Banca anche se non gli piaceva molto. Era uno sportivo, amava la moto, stare all’aria aperta, per cui gli pesava stare in ufficio, soprattutto quando gli impegni di lavoro e qualche raccomandazione dei superiori lo costringevano ad indossare giacca e cravatta…  Riccardo si sentiva più a suo agio in jeans e maglietta. Quella mattina era uscito per una commissione a Corsico lasciandomi un biglietto per avvertire che sarebbe tornato per l’ora di pranzo. Poi in piazza VI Febbraio l’incidente. Dopo averlo disperatamente cercato per tutto il pomeriggio, solo verso sera abbiamo ricevuto una telefonata dal Fatebenefratelli dove era ricoverato in terapia intensiva. Nei primi giorni ha lottato con tutte le sue forze per vivere ma un giorno, dopo aver sentito i medici parlare fra loro ed aver intuito le conseguenze delle lesioni per la sua vita futura, si è quasi lasciato andare… Il 12 dicembre, dopo due settimane dall’incidente, è morto. Mi avevano detto che ci vogliono anni per accettare la morte di un figlio, ed è proprio vero”.

L’incidente era stato provocato da un automobilista che aveva letteralmente travolto la moto, per cui l’assicurazione ha dovuto risarcire il danno. “E’ stato Marco a suggerirmi di utilizzare quei soldi, una cifra significativa, per uno scopo benefico a favore di altre persone. Ricordo che aveva chiesto anche a te e, tramite il COE di Barzio, è stato finanziato un progetto per la costruzione di una scuola di agricoltura e di alcuni pozzi per l’acqua nel nord del Camerun”.
In quell’area prestava allora la sua opera Invernizzi Graziosa, di Pasturo, e nel dicembre del 1995, con Marco e Piera, mi sono recato anch’io in Camerun per vedere l’avanzamento dei lavori.

Come ricordi i rapporti con la gente di Pasturo?
Come dicevo sono tendenzialmente una solitaria, tuttavia ho sempre avuto un rapporto positivo con la gente. Ancora adesso mi capita che delle persone mi salutino ricordando qualche episodio o qualche incontro relativi alle mie numerose passeggiate sui monti”.

E’ molto tranquilla Enrica, nonostante i numerosi acciacchi che in questi ultimi anni l’hanno colpita, costringendola anche a diversi ricoveri ospedalieri. Si rende conto dell’età e delle difficoltà, ma non perde il suo buon umore e il suo realismo: “Mi dispiace dover dipendere a volte dagli altri e per questo non voglio andare in casa di nessuno; non voglio essere di peso, anche se da parte degli altri – in particolare da parte di Marco e di Piera, ma anche delle mie nipoti - c’è la massima disponibilità. Per il futuro vedremo: fino a quando sarà possibile voglio vivere qui nella mia casa di Pasturo, poi vedremo; o una badante… o il ricovero… ma per ora me la cavo ancora da sola”.


E’ stato davvero piacevole conversare con Enrica: la sua saggezza e vivacità mentale, assieme alla discrezione, alla semplicità e disponibilità, sono doti rare e preziose che le hanno permesso di affrontare la vita, anche nei momenti di difficoltà, con ottimismo. Grazie Enrica.

                                                                                                            Guido


IL GRINZONE n.60