Bontà inesausta

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  La bontà era una delle doti morali più alte di Antonia Pozzi, come ricordano molte persone che l’ebbero compagna di giochi o di corse per i prati di Pasturo, quando, con la scusa di raccogliere fiori, la piccola Antonia metteva la sua bella bambola in braccio alle amichette, perché potessero godersela un poco, esse che erano povere e di bambole non ne avevano, né belle né brutte; come scrive Remo Cantoni ai genitori dopo la sua morte: “ Ella si dava con l’anima intera alle cose, alle persone che le erano care, era un continuo dono del suo aiuto, del suo appoggio, del suo conforto ch’essa recava agli amici; poche persone avevano il senso del sacrificio e la generosità d’animo suoi”.
  La montagna, col suo protendersi verso l’alto e col suo discendere verso la valle, diventa il “luogo” della bontà e della bontà senza limiti, come l’amore di una madre per i propri figli; madri, infatti, chiama Antonia le montagne in una lirica (Le montagne) e, come tali, le immagina mentre “scostano dai vasti occhi i rami delle stelle” e “a un franare di passi sulle ghiaie / grandi trasalgon nelle spalle /… fissane sbocchi di strade…”, tese nella speranza di veder ritornare i figli lontani.
  Le montagne sono mani che benedicono, braccia che consolano la malinconia, “ col canto / delle campane a mezzogiorno” (Distacco dalle montagne); la loro bontà è indicibile, soprattutto quando essa si concentra nella montagna unica, quella più famigliare, la mia montagna.
E’ la Grigna, ma è anche Pasturo, anzi soprattutto Pasturo, su cui veglia, immobile, ma viva, come una madre-sentinella, la grande montagna, “sana, venata di sole”, che porta , come dono, “ sul grembo / il cielo tutto azzurro”. E’ un dono di serenità e di luce che si diffonde giù giù, sui suoi pendii e riveste di chiome dorate “i boschi già biondi d’autunno” e trasforma tutto il paesaggio circostante in un finissimo merletto di trasparenze (nebbie leggere), di gocce di luce ( rugiada) che danno un oltre-vita alla “foglie morte” , di pallori di morte che intridono i crochi ancora vivi, mentre i “ petali stanchi di ciclamini” dormono già il loro sonno definitivo nel terriccio che li accoglie.
  Ma lei, la montagna, chiama “ voli d’uccelli” alle sue “mani colme di vento”; ed è festa, è vita, è libertà, è ascensione, è bontà: tutto accoglie, a tutte le più piccole creature ha qualcosa da offrire: la gioia e il dinamismo della vita, il riposo e la pace della morte. E se vita e morte si rincorrono nella lirica, è la vita che domina nel finale: il canto del cuore “ non può più finire”, perché la bontà lo rigenera incessantemente come una “sorgente che rifà / il sorso bevuto/ ed il suo fondo/ non si tocca mai”.


                                                                                 Onorina Dino