LE CASERE DI PASTURO

Monumenti dell'industria casearia nazionale  

 

Oggi Pasturo ha ancora una certa notorietà nel panorama caseario italiano per la presenza soprattutto della ditta Mauri, che vi fiorisce dal 1929. Ma un secolo addietro il paese, con il nucleo di Bajedo, a quei tempi ancora comune autonomo, era un centro ancor più notevole nella produzione dei formaggi e in specie dei gorgonzola, più teneri e dolci di quelli che in seguito verranno fabbricati nelle pianure milanesi.
Un segno precipuo di questa lavorazione è costituito dal gruppo dei fabbricati delle Casere di Rompeda, poco discosto dal torrente Grinzone e sotto le rocce della Costa dei Buchi, in territorio che appartenne a Bajedo. E’ uno dei rari esempi di un nucleo del genere appositamente pianificato nella seconda metà dell’Ottocento, un luogo evocativo che è ormai insidiato da vicino dalle anonime residenze che in questi anni hanno colmato i prati del contorno.

 

La nascita e l’espansione dell’industria casearia in valle

Negli ultimi due decenni dell’Ottocento la produzione casearia della zona di Lecco conobbe un rapidissimo sviluppo, diventando una delle voci più notevoli dell’economia, non solo a livello nazionale. Concentrata di fatto su Valsassina e Lecco, nel 1879 dava 18000 q di formaggi; ma nel 1901 il traffico in Valle era calcolato in 150000, in 200000 intorno al 1910 e addirittura in 250000q nel 1914. Un recente studio di Marco Maggioni afferma che intorno al 1910 la Valle sosteneva il 13% della esportazione del prodotto nazionale, calcolandosi però il 38% nel comparto dei latticini molli; ci si rivolgeva in gran parte al mercato estero, verso Ginevra, Zurigo, Londra, New York e la Francia, prima con il gorgonzola, poi con la robiola e in parte il taleggio quartirolo. Era un secolo fa una produzione che in valore andava ad equipararsi alla seta.
Nella fase di espansione e ammodernamento, Pasturo e Bajedo seguivano Ballabio che era il centro principale di riferimento; nel 1901 Eugenio Cademartori era il produttore principe di Bajedo e agivano a Pasturo Gerolamo Colombo e i fratelli Corti, presenti anche a Ballabio inferiore.

La vicenda del caseificio non è ancora ben nota, affrontata parzialmente e sporadicamente in poche pubblicazioni. Per Pasturo sappiamo che esso affonda ben addietro nel tempo; nel 1643 si producevano già stracchini, burro e mascarpone, ambiti tanto da esser dati in dono perfino al podestà e al conte feudatario. L’ubicazione di Pasturo era favorevole data l’ampia disponibilità di alpeggi, in particolare il Prabello, che apparteneva ai Manzoni di Barzio e dove si trovava un apposito Serraglio del bestiame. I pascoli comunali erano però scarsi e forse questo, diversamente da altre località della valle, incrementò nei bergamini la transumanza periodica nelle pianure, che sappiamo già in atto significativamente nel 1714; nel 1735 conosciamo nomi di molti bergamini di Barzio, Ballabio e Morterone che praticavano la transumanza nella bassa e con questi anche Eusebio Perondi, Eusebio Doniselli, Giovan Antonio Doniselli di Pasturo, che partivano a ottobre per tornare, secondo i casi, fra marzo e aprile.
E’ probabile che ad essi venissero affidate anche mandrie di signori della pianura o che comunque, attraverso questi, si stabilissero intrecci per il mantenimento del bestiame e il miglioramento della produzione.
Nelle inchieste di epoca napoleonica, l’ampia dotazione di vaccine rilevate a Bajedo e Pasturo, come pure a Ballabio superiore e a Morterone, indica una lavorazione del latte superiore al fabbisogno locale, e i numerosi cavalli di Bajedo servivano appunto ai bergamini che si spostavano.
Le rilevazioni compiute un secolo dopo sugli alpeggi, fra 1903 e 1908, davano pascoli ampi a Pasturo, in specie Campione e Prabello, appartenenti però a privati; le alpi si caricavano troppo, così che i bergamini potevano rimanere in quota solo circa 70 giorni fra fine giugno e fine agosto, per poi scendere a valle o alla bassa. Terre e cascine erano prese in affitto a canone novennale da bergamini della pianura, a volte riuniti in società, che poi lavoravano il latte per quartirolo e ancor più gorgonzola da maturare nelle casere locali.
Le casere maggiori della valle si trovavano a Ballabio, Maggio, Barzio, Pasturo e Bajedo, poste fra i 700 e i 900 metri d’altitudine. Se a Ballabio dominavano le ditte Locatelli, Galbani, Rigat, Invernizzi, Corti, Pasturo e Bajedo avevano una miriade di produttori: nel 1904 Arrigoni, Corsi, Bodega, Galbani, Merlo, Ticozzi, Eugenio Cademartori; nel 1911 vi si contavano i negozianti Dazio Doniselli, Ignazio Ticozzi e Ambrogio Ticozzelli; nel 1914 si segnalavano le casere Corti, Selva, Ticozzi, Arrigoni, oltre a quelle del ponte di Chiuso. Molti fabbricati erano sparsi sulle groppe dei Grassilunghi e in Brunen, zone che avevano grotte, usate anche dai notissimi Davide Galbani e Eugenio Cademartori non solo all’inizio della loro attività: lo spirare di “soffioni” e l’interramento costituivano un ambiente adatto alla maturazione in circa tre mesi.
Vi era quindi una produzione in luogo e un’altra produzione importata per la maturazione estiva nelle grotte o casere: secondo una relazione di Giorgio Enrico Falck, presidente della nostra Camera di Commercio, nel 1901-1902 erano 100.000 i quintali di latticini che venivano condotti in Valsassina dalla pianura milanese per la stagionatura.

 

Lavorazione di formaggi a Pasturo e Bajedo a fine Ottocento

Al di là dei dati generali, le indicazioni località per località e ditta per ditta sono per ora scarse, poiché le informazioni sono sparse in fondi diversi e spesso gli archivi comunali o tacciono o sono fatti tacere, per la improvvida distruzione dei documenti.

Per Bajedo abbiamo due prospetti specifici diretti alla Sottoprefettura nel 1891 e 1893. Nel 1891 il sindaco Calimero Galbani indicava una produzione esclusivamente di formaggi di vacca, quelli freschi con stracchini quadri in 5 q e quelli stagionati e cioè stracchini tondi detti Gorgonzola in q 6,5. Nel 1893 il sindaco Simone Orlandi Arrigoni, accusando problemi di scarso foraggio e di afta, segnava q 3,75 come quantità di formaggi freschi, e altrettanto per quelli stagionati. Aggiungeva però che vi erano “vari depositi per la stagionatura dei formaggi, detti gorgonzola, favoriti dal freddo naturale della montagna a cui si appoggiano tali fabbricati: ciò costituisce uno dei principali rami di traffico specialmente pei negozianti all’ingrosso”.
Questi erano Giovanni Bodega di Lecco, i fratelli Corsi di Milano, Polenghi e Civio di Codogno, Antonio Zazzera di Codogno, Eugenio Cademartori, i fratelli Locatelli fu Mattia.
Ammesso pure che le informazioni date fossero parziali, occorre comunque distinguere fra la produzione in luogo e la vera industria che usava le casere per la maturazione. Forse qui sta il nodo per capire le diversissime quantità di prodotto delle statistiche per il circondario di Lecco fra Ottocento e Novecento.
Pasturo e Bajedo infatti non producevano più, a fine Ottocento, le formaggelle nostrane o i pecorini o quei caprini cilindrici che erano noti a Milano come caprini di Lecco e neppure burro e panna; ci si adattava a ciò che poteva interessare i grandi imprenditori, allevatori e commercianti della pianura, che per primi avevano scoperto la vocazione casearia della zona e che lasciavano alle famiglie locali scarso spazio alla produzione.
La frequentazione degli industriali forestieri era certo legata al periodico trasferimento di famiglie del luogo nella pianura come malghesi o contadini e malghesi insieme. L’Orlandi scriveva che, sulla fine del Settecento, a settembre, più di 300 persone andavano a svernare le mandrie in pianura intorno a Novara, Alessandria, Pavia e Milano; e rammenta che in quel tempo a Bollate i Doniselli formavano già un nucleo di una cinquantina di famiglie. Infatti la transumanza non era sempre costante e poteva avvenire il definitivo espatrio: da malghesi a lattai, da lattai a fittavoli e poi a volte imprenditori. A Pieve del Cairo per esempio era nato Francesco Galbani nel 1831. Dal 1860 sappiamo di una serie di malghesi di Bajedo diretti in Lomellina e Novarese: erano 12-13 fra il 1860 e 1863, uno solo fra il 1864 e 1866, nessuno nel 1867. Fra questi vi erano anche gli stessi sindaci prima nominati.
Nel 1894 si segnala poi la morte a Novara di Eusebio Merlo di 45 anni, suonatore ambulante d’organetto, che, per quanto soggetto a ubriachezza, si faceva anche malghese, affittando il latte del signor Del Bosco di Cameriano nel comune di Nibbiola poco lungi da Novara; moriva con debiti verso quel nobile, che allora sequestrava utensili della casera, maiali e stracchini, tentando anche di rivalersi verso gli eredi Rosa Galbani e Maddalena Merlo.
Intorno al 1870 pare estinguersi l’emigrazione stagionale; è probabile che i malghesi del posto preferissero seguire la stagionatura di ciò che giungeva da fuori, poiché d’altra parte lo sviluppo delle ferrovie, quella di Bergamo nel 1863, con collegamento su Milano, e quella del capoluogo nel 1873, potevano favorire il trasporto delle forme dalla bassa, Mortara, Vigevano,Vercelli, Pavia, a Lecco e quindi condotte alla valle con carri trainati da buoi o cavalli, entro due settimane dalla fabbricazione.

 

La formazione del nucleo delle Casere di Rompeda

Dove ora si vedono le Casere, a metà Ottocento sorgeva solo la cassina di Rompeda di Giuseppe Invernizzi. Fra il 1874 e 1878 il Comune procedeva alla livellazione generale di boschi, pascoli e prati, attribuiti in lotti a sorte agli abitanti e ai censitari; fu probabilmente questo a incentivare l’idea della formazione delle Casere fra Folla e Rompeda: quelle terre erano infatti per la massima parte o del beneficio parrocchiale o del comune. Attraverso la cessione delle quote livellate agli abitanti, vennero immessi al godimento gli imprenditori della pianura. Dal 1881 si assiste al progressivo spostamento dei terreni prima al cavalier Antonio Zazzera fu Pietro di Codogno e ai fratelli Pietro e Paolo Polenghi dello stesso paese; si deve intendere che essi, in accordo con Domenico Galbani di Antonio e con Simone Arrigoni fu Carlo, che paiono i fiduciari, costruissero le prime casere, avviate intorno al 1877 e divenute quattro entro il 1884. Nel 1887 sopravvennero poi i fratelli milanesi Corsi di Angelo e i fratelli Giovanni e Giuseppe Bodega di Giuseppe, che erano stati allievi del Galbani a Maggianico; costoro, in parte in società, acquistavano i diritti livellari di Angela Costadoni vedova Doniselli e parenti, oltre a quelli di Pietro Tantardini e di Francesco Galbani fu Martino; ampliarono così alcune delle casere già nate e costruirono un gruppo superiore di altre tre fra il 1889 e 1893, aggiungendone poi ancora un’altra.
Per raggiungere con miglior agio la postazione, i Bodega e Corsi nel 1888 diedero avvio a una strada carrozzabile tra la Folla e Rompeda, tutta giravolte e con piazzali per i cariaggi. Per la strada attuarono acquisti da diversi possidenti, i fratelli Ticozzi fu Francesco, Giuseppe Invernizzi fu Giorgio, Gio. Antonio Ticozzelli fu Giacomo, Giacomo Ticozzelli fu Calimero, Francesco Galbani, Pietro Tantardini. Intanto acquisivano alcune delle casere: nel 1888 quella di Francesco Galbani fu Martino, nel 1891 quella di Tantardini; nel 1893 ottennero le prime casere Polenghi e quelle Zazzera da Giuseppina Melesi vedova del cavaliere. Entro il 1897 dunque si era del tutto formato il gruppo delle Casere in mano ai Bodega e ai Corsi.
Nel decennio successivo altri impianti minori si formarono sulle groppe della Grigna, Corti, Merlo, Selva, Invernizzi, Ticozzi, a Brunen e nei Grassilunghi. Eugenio Cademartori di Casalbuttano utilizzava le grotte di Cantel Brugh prima di entrare nelle casere dei Forni, altro interessante nucleo, che in questi tempi è stato completamente raso al suolo.
Le Casere di Pasturo sono il superstite segno materiale di un momento decisivo per lo sviluppo del territorio. Esse non furono abbandonate nella crisi della prima guerra mondiale e anzi nel 1932-35 erano ancora additate al governo come le migliori della valle.
Semplici fabbricati in muratura, con brevi portici per lo scarico, contenevano su vari piani anche 50000 forme di gorgonzola in forme rotonde del peso di 10-12 chili. Per meglio controllare la maturazione, oltre al raffreddamento naturale creato dal riscontro delle finestrelle a grata con il venticello fresco e asciutto che spirava dalle fessure del terreno dette lanche, si collocarono anche impianti frigoriferi elettrici, mantenendo temperature di 7-10 gradi. Il gorgonzola era di due tipi: uno di due paste in cui si creavano le tipiche erborine e che era smerciato in Inghilterra, l’altro bianco di una sola pasta, che era preferito in Austria e Germania.
Della sapiente intraprendenza industriale della valle, divenuta notissima a livello internazionale, restano dunque come testimonianza queste semplici costruzioni, che, a dispetto della loro precarietà ed umiltà, sono da considerare dei veri “monumenti” del lavoro non solo locale.

 

                                                                                                            Angelo Borghi


IL GRINZONE n.9 e n.10