SU, SU... FINO ALLE ISOLE SVALBARD


Immagina Pasturo coperto di neve otto mesi all’anno, immagina che non ci sia uno straccio di albero, nemmeno a pagarlo. Funghi? Ma nemmeno per idea.
Immagina che Barzio sia a tre ore di distanza. Ma di motoslitta e se c’è bel tempo.
Immagina che per arrivare ad Introbio di ore ce ne vogliano più di quattro, sempre di motoslitta, e che, quando non c’è la neve, o ci si va in barca o con l’elicottero.
Immagina che Barzio abbia duecento abitanti ed Introbio dodici; quelli di Pasturo vanno più o meno bene così.
Immagina che gli abitanti di Barzio ed Introbio parlino solo russo, mentre a Pasturo ci siano almeno una ventina di etnie diverse, tutte perfettamente integrate tra loro.
Immagina che, per andare a Lecco, ci voglia un’ora, ma di aereo; e che per Milano le ore siano due e mezza.
Immagina di togliere tutti gli altri paesi e le città, tranne un paio di villaggetti abbandonati da almeno trent’anni ed un importante centro di ricerca su al nord; ma per arrivare a quello ci vuole una giornata di viaggio.
Immagina che a Pasturo ci siano un’Università, due o tre alberghi ed una quantità di ostelli, due musei ma che, per vedere una mela, o arriva con l’aereo o niente.
Immagina tutto questo al buio per quattro mesi all’anno ed al sole fisso per altri quattro.

 

Immaginato tutto? OK, ora attaccaci quattromila orsi bianchi che girano liberi anche nel cortile di casa e ci siamo: lo scenario somiglia un po’ a quello di Longyearbyen, capoluogo delle Isole Svalbard, ultima terra a nord dell’Europa prima dell’oceano artico e del Polo Nord.

 

Le Isole Svalbard (una volta si chiamavano Spitzbergen) sono abbastanza note qui da noi perché sono quelle dove fece tappa, nel 1928, la spedizione polare del dirigibile Italia con il Comandante Nobile, quella della Tenda Rossa e dei sopravvissuti alla caduta del dirigibile, che navigarono per mesi sul pack (grosso pezzettone di ghiaccio staccatosi dalla banchisa) mentre tutto il mondo li cercava.

Per il resto, la loro storia non è stata un granché: praticamente ignorate fino all’inizio del ventesimo secolo, tranne che da qualche pescatore o cacciatore occasionale, vennero abitate più o meno stabilmente dal 1920,quando iniziò lo sfruttamento delle miniere di carbone.

 

Fino a quel punto le Isole non appartenevano ad alcuna nazione, con la scoperta delle miniere avrebbero potuto trasformarsi in uno di quei manicomi che noi umani siamo tanto bravi ad organizzare quando troviamo materie prime in terre di nessuno (o anche di qualcuno, ma non divaghiamo). Invece, strano, la comunità internazionale decise, con un trattato cui aderirono più o meno tutti i paesi importanti, che le isole fossero amministrate dalla Norvegia ma che l’accesso alle risorse fosse disponibile a tutti.

Chi prese seriamente la cosa fu però solo la Russia, che stabilì alcune migliaia di persone a Barentsburg (la nostra Barzio), Pyramiden (Introbio) ed alcune altre cittadine ora completamente abbandonate, dedicandosi all’estrazione del carbone; il resto del mondo invece si disinteressò della zona.
Con la caduta del regime sovietico, negli anni ’80, le miniere vennero abbandonate e, di conseguenza, Barentsburg, Pyramiden e tutte le altre divennero città fantasma, destinate alla rovina in qualche decennio.

 

Negli ultimi anni anche le Svalbard hanno cominciato ad essere interessate dal turismo, alcune agenzie viaggi (anche create da italiani) sono nate a Longyearbyen ed è diventato possibile avvicinarsi a questo incredibile mondo anche senza essere miliardari con mesi di tempo a disposizione per le vacanze.

 


Ed è qui che entriamo in gioco noi, gruppetto di normalissimi italiani, non miliardari (manco milionari, se è per quello), con il solo tempo delle ferie a disposizione ed innamorati dei deserti di tutti i tipi.

Complice la conoscenza con il titolare di una delle agenzie di Longyearbyen, è di Milano e si chiama Stefano, in primavera siamo partiti in sei per una settimana faticosissima ed indimenticabile. Il periodo scelto, aprile-maggio, è quello in cui tutto è ancora coperto di neve, il mare nei fiordi è ghiacciato ma già il sole non tramonta più.

Muovendoci in motoslitta, davvero l’unico mezzo di trasporto utilizzabile con la neve, abbiamo visitato, oltre alla capitale Longyearbyen, anche Barentsburg e Pyramiden. Queste due cittadine, abbandonate negli anni ’80, stanno ora rivivendo una nuova vita: la Compagnia Mineraria russa proprietaria dei siti ha deciso di rimetterle in funzione non tanto per riprendere l’estrazione del carbone quanto per approfittare del prossimo sviluppo turistico. Visitandole è già ora possibile rendersi conto di quanto fosse dura la vita dei minatori che, oltre a non fare un lavoro “da scrivania” dovevano confrontarsi anche con la solitudine (anche le navi che trasportavano il carbone arrivavano solo d’estate), con le condizioni climatiche veramente estreme e, buoni ultimi, pure con gli orsi.

Gli orsi, che ora sono ultraprotetti, venivano un tempo cacciati; i primissimi insediamenti umani furono infatti quelli dei cacciatori che erano interessati soprattutto alle pelli. Uno dei metodi di caccia più usati consisteva nel collegare un pezzo di carne di foca al grilletto di un fucile: l’orso tirava la carne e si suicidava. Installazioni di questo genere si trovano ancora oggi in giro per le isole: sono rimaste solo come testimonianze del passato ma fanno pur sempre una certa impressione.


Di orso ne abbiamo incrociato uno: da 200 metri di distanza, in relativa sicurezza (gli orsi arrivano ad una velocità di 50 Km/ora, le motoslitte a 120), per una mezz’ora siamo stati ad osservarlo mentre gironzolava sul ghiaccio ravanando (termine tecnico usato dagli orsi che significa frugare nei buchi del ghiaccio in cerca di cuccioli di foca) qua e là. Si trattava di un cucciolone che non disdegnava, tra una ravanata e l’altra di giocare rotolandosi nella neve, proprio come fanno i nostri cani.

Anche di foche ne abbiamo viste un bel numero, spaparanzate al sole sulla banchisa e sempre nei paraggi del loro buco privato nel ghiaccio, unica via di fuga nel caso il cucciolone di cui sopra si avvicini troppo.

Altri animali facili da incontrare in libertà sono le renne (diverse da quelle di Babbo Natale perchè senza le corna) ed i gabbiani tridattili, specializzati nel colonizzare tutti gli insediamenti umani abbandonati.
In cattività si trovano invece i cani da slitta, sono simili ai lupi ma più piccoli ed hanno una forza notevole. Ho provato a fare discussione con uno di loro che non ne voleva sapere di stare fermo e tirava per partire: a momenti mi ribalta!
Quando sono al lavoro, vengono aggiogati alla slitta in sei o otto, con i capi in testa. Nel viaggio la cosa più difficile è cercare di evitare le risse tra una muta e l’altra, si sorpassano e si tagliano la strada mordendosi tra loro proprio come gli automobilisti nostrani.

 

In una settimana abbiamo percorso tra 500 ed 800 Km in motoslitta ( non sembra tanto ecologico, ma è proprio l’unico modo per andare in giro) girando in lungo ed in largo la più grande delle isole, oltre ad incrociare orsi e visitare città abbandonate abbiamo accompagnato in montagna un gruppo che si dedicava allo sci nordico (come non li invidio….hanno trovato un tempo indecente!) e ci siamo riempiti gli occhi di panorami unici e splendidi. Le temperature oscillavano tra zero e meno venti ma, complice la quasi totale assenza di umidità, non abbiamo sofferto praticamente mai il freddo.

La visita alle Svalbard si può effettuare anche d’estate: oltre alle crociere che gironzolano nei fiordi, si possono fare dei lunghi trekking tra valli e montagne, sperando di non incontrare qualcuno dei quattromila residenti ….ci siamo capiti, no?

Comunque, le guide che accompagnano i gruppi sia d’estate che d’inverno sono sempre in due ed armate di lanciarazzi e fucile.

 

Per concludere un’osservazione circa il sole di mezzanotte ed un rimpianto.
La mancanza di buio provoca un effetto curioso: non ti viene mai sonno. Ti senti imbambolato ma non ti viene voglia di andare a dormire; staresti sveglio molto più a lungo del solito.
Il rimpianto è per non avere visto le aurore boreali: ci contavamo tutti ma abbiamo scoperto solo quando siamo arrivati che il fenomeno si manifesta solo nei mesi senza luce ed ha il suo massimo tra febbraio e marzo. Peccato!


                                                                           Marco Tricella


IL GRINZONE n.32