UN APPASSIONATO, CONTAGIOSO MAESTRO DI STUDI CLASSICI

Don Giovanni Ticozzi nel ricordo di una sua allieva

 

45 donticozzi1Ci sono persone che lasciano il segno nella Storia (macrostoria), diventando protagonisti e testimoni di un’epoca; altre che lo lasciano nella storia di tutti i giorni, di ciascuno di noi (microstoria), pur rimanendo, molto spesso, nell’anonimato; altre ancora, infine, riescono a ‘sfondare’ sia nell’una che nell’altra. È in quest’ultimo caso che si inserisce don Giovanni Ticozzi (Pasturo, 1897-1958), figura di spicco della vita politica e culturale lecchese della sua epoca. Uomo di molteplici interessi, profondo e appassionato conoscitore di storia dell’arte, fondatore con pochi amici del Centro di Cultura nel 1945, dedito con passione all’insegnamento, amante della libertà in tutte le sue espressioni, tollerante e generoso, don Ticozzi fu e rimase per tutta la vita un grande maestro, che aveva fatto dell’insegnamento una vocazione, nel contatto vivo e continuo coi giovani. Dopo aver insegnato nei licei di Gorla e di Celana fu nominato nel 1937 professore di latino e greco e di storia dell’arte al Ginnasio-Liceo “A. Manzoni” di Lecco, di cui fu preside dal 1941, lasciando nei suoi allievi un ricordo indelebile della sua ricca e limpida personalità, della sua cultura e della sua missione di educatore.


Una sua allieva, Olimpia Aureggi Ariatta, conserva di don Ticozzi un ricordo ancora vivo, affettuoso e riconoscente. Ma prima di entrare nel vivo dell’intervista, è opportuno tracciare un breve profilo della nostra gradita ospite.

Olimpia Aureggi nasce a Chiavenna il 25.3.1928, da Alessandro, avvocato, appartenente a una antica famiglia originaria di Bellagio, e da Margherita Perego, che aveva affinato in Germania la sua già brillante cultura. Nel giugno del 1938, a Lecco, dove abita con i suoi genitori, si iscrive al civico Liceo/Ginnasio pareggiato “A. Manzoni”, dove ha la grande fortuna di seguire le lezioni di latino, greco e storia dell’arte tenute dal prof. don Giovanni Ticozzi, che della scuola era pure Preside. Anche su suggerimento di tale Maestro, Olimpia nel 1945 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano, dove si laurea il 6 luglio 1949 con il massimo dei voti e la lode. Si iscrive all’albo degli avvocati ed esercita la relativa professione a Lecco prima e, poi, dopo il matrimonio, a Milano. Contemporaneamente si dedica all’Univer-sità, come assistente alla cattedra di Storia del diritto e nel 1963 consegue la Libera Docenza Universitaria.


Che ricordo conserva del suo vecchio professore di latino e greco, don Ticozzi? Era severo? Come riusciva a mantenere alta la motivazione per uno studio, come quello delle lingue classiche, dichiaratamente non spendibile nell’ambito pratico?

Io conservo uno splendido ricordo di don Giovanni Ticozzi: non solo venerato, insuperabile Maestro di greco, latino, storia dell’arte, ma anche educatore attento e sensibile – dalla vastissima cultura, dalla profonda conoscenza dell’animo umano, dal generoso entusiasmo – che sapeva suscitare nei giovani l’amore per i grandi valori morali ed estetici, ed anche per tutto quanto di bello e di buono la vita offre ogni giorno a ciascuno. Eccezionale il metodo seguito in proposito: iniziare con la lettura in classe di un testo letterario o con l’esame di un’opera d’arte, soffermandosi, innanzi tutto, sul piacere dato dall’opera in sé e per sé, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione; proseguire, poi, traendo o, meglio, lasciando trarre dagli allievi, guidati dal Maestro, tutte le osservazioni, riflessioni, conseguenze culturali (quindi linguistiche, estetiche, stilistiche, storiche, analogiche…) ed etiche, risalendo infine dal caso particolare ai principi generali. Indimenticabile in proposito lo sguardo del Maestro quando si illuminava recitandoci versi della letteratura greca: guardando oltre le vetrate dell’aula scolastica, don Ticozzi veramente vedeva sorgere dalle correnti dell’Oceano l’omerica “aurora dal peplo di croco”, sentiva l’eccelsa armonia dell’inno ad Afrodite di Saffo e della danza sacra intrecciata dalle Cretesi sull’erba tenera, si rallegrava al ritmo giocoso dei versi di Alceo per la cicala, oppure per una libagione festosa … l’atmosfera era talmente magica da coinvolgere anche noi, poveri allievi.

Nella vastissima letteratura greca, però, un’opera era particolarmente cara a don Ticozzi, non epica e non lirica, ma drammatica: l’Antigone di Sofocle, con le famose parole urlate dalla mitica protagonista e ricordate spesso da don Ticozzi: “non per odiare insieme, ma per amare insieme io sono nata”. Parole che il nostro Maestro, sacerdote cattolico, ha vissuto nella drammatica realtà, quando – nell’ultimo e più pericoloso periodo della guerra – non ha accettato di “odiare insieme”, ma ha continuato ad “amare insieme”, aiutando i moltissimi in difficoltà e subendo le relative pesantissime conseguenze (dopo una breve detenzione per motivi politici, la costante minaccia di deportazione in Germania in un campo di lavoro nazista).

Un notevole interesse don Ticozzi riservava anche alle opere filosofiche: tra gli autori greci preferiva Platone, specialmente nell’Apologia di Socrate e, in questa, il concetto – attribuito allo stesso Socrate – secondo il quale il vero sapiente è colui che non pretende di sapere quello che non sa: concetto che don Ticozzi ricordava spesso anche agli allievi, aiutandoli a svilupparlo. Stimava anche il De amicitia e il De senectute di Cicerone, di cui apprezzava la concinnitas dello stile, come apprezzava la stringatezza di Cesare, la varietas di Tacito e le composizioni di Orazio.
Non amava, però, la cultura latina come amava la greca: riteneva che – soffocata inizialmente da questa – non avesse potuto svilupparsi autonomamente e quindi non avesse potuto esprimere tutte le proprie potenzialità; si rallegrava, però, pensando che, grazie ai Romani, la cultura greca aveva potuto sopravvivere al crollo politico delle popolazioni che l’avevano espressa, espandendosi nel territorio dell’Impero romano e, alla fine di questo – grazie al cristianesimo – giungendo, di grado in grado, fino a noi ancora intellettualmente viva.



In una lettera del 20 maggio 1913, indirizzata a Mons. Carlo Castiglioni, don Ticozzi scriveva: “mi piace tanto il greco”. Qual era il suo rapporto con la letteratura classica greca e latina?

Benedetto Croce affermava che “nessuno di noi può dire di non essere cristiano”, indipendentemente dalla confessione religiosa, ma per il semplice motivo che il cristianesimo costituisce una componente notevole della nostra cultura, della nostra civiltà. E un’altra componente notevole di tale nostra civiltà, di tale nostra cultura è costituita anche da quella classica. Rinunciare a conoscerla significherebbe rinunciare a conoscere noi stessi, respingendo l’invito “Conosci te stesso” scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, invito che anche don Ticozzi, saggiamente, rivolgeva agli allievi, agli amici e, persino, agli sconosciuti.
Egli, però, prevedeva e temeva quanto poi è realmente accaduto negli oltre cinquant’anni passati dopo la sua scomparsa: la contrazione degli studi classici si è rivelata direttamente proporzionale alla involuzione della cultura, della civiltà, con effetti negativi in tutti i campi, anche l’economico.

A proposito dello studio delle lingue classiche, don Ticozzi riteneva che esso fosse preziosissimo per diverse ragioni: innanzi tutto perché si può conoscere, comprendere e cogliere il valore formale e sostanziale di un’opera letteraria e, in particolare, poetica solo se si conosce la lingua in cui è stata creata, come analogamente si può comprendere veramente il valore di un’opera musicale e della sua esecuzione solo se si possiede una adeguata conoscenza delle regole della composizione e del linguaggio con cui si esprimono autore ed esecutore. In proposito don Ticozzi suggeriva ai giovani di leggere le opere classiche esclusivamente nel testo originario, ma tenendo sempre pronta una valida traduzione, da consultare eccezionalmente, solo per le frasi ritenute incomprensibili e da confrontare con la interpretazione propria. Don Ticozzi, inoltre, riteneva utilissimo lo studio delle lingue classiche, per le loro regole grammaticali e sintattiche profondamente razionali, che costringono ad un costante esercizio logico altamente formativo, paragonabile solo a quello dell’alta matematica. A proposito di questa e della contrapposizione del suo studio a quello delle discipline umanistiche don Ticozzi ricordava che si trattava sempre di cultura classica: anche Pitagora ed Euclide erano greci come Omero e Fidia.

 

Qual era il suo rapporto con i suoi allievi e i suoi colleghi?

Il Cardinale G.F. Ravasi ha recentemente affermato, ricordando Plutarco, che Buon Maestro è colui che non colma la mente dell’allievo con tante nozioni, ma colui che nell’allievo “accende una fiamma”, ossia “accende interessi, apre squarci, di vita e di verità… Con l’alunno ricerca ed impara”: pare il ritratto di don Ticozzi, che, in verità, ha fatto anche molto, molto di più. Era, infatti, comprensivo verso l’allievo, mai severo; teneva sempre attenti i ragazzi con lezioni piacevoli, che suscitassero interessi ed aprissero le giovani menti al ragionamento; consentiva agli allievi di usare, durante le verifiche (da noi allora chiamate “compiti in classe”) non solo il vocabolario, ma anche grammatica, sintassi, appunti, persino il famoso prontuario per i verbi greci detto “Pechenino” dal nome dell’autore, commentando tutto ciò bonariamente con le parole: “… tanto tutto questo non vi serve, perché se siete preparati non vi occorre e se non lo siete: …è tutto inutile”.
Insomma un Maestro ideale che accendeva non una ma mille “fiamme”.
Una particolare attenzione era rivolta da don Ticozzi – oltre che ai suoi allievi, anche ai giovani insegnanti.

 

Oltre alle lingue classiche, don Ticozzi era un profondo, appassionato studioso di storia dell’arte che sapeva far amare e apprezzare nella sua forza e nella sua bellezza. Che cos’era per lui la bellezza? Come vi insegnava a riconoscerla?

Per don Ticozzi la bellezza di un’opera d’arte consisteva nell’armonia delle forme intesa come espressione di un contenuto, concetto espresso soprattutto nelle statue greche, in cui la suprema armonia di forme maschili (dall’Acrobata di Creta, dall’Auriga di Delfi, fino all’Ermes di Prassitele, ai rilievi del Partenone e del tempio di Zeus ad Olimpia) esprimono un perfetto equilibrio fisico e morale, una efficienza ottenuta con la rigida osservanza di regole precise, con un impegno inderogabile, con una volontà tenacissima: sintesi felice, da definire col binomio carissimo a don Ticozzi “musikè kai guinastiké”, per indicare le due componenti – fisica ed intellettuale – della bellezza greca maschile, tutto sull’affascinante sfondo dei Giochi Olimpici Panellenici.
Anche nelle diverse statue greche femminili don Ticozzi vedeva l’armonia delle forme, ma dal diverso contenuto; nella rigidità dell’Era di Samo – che gli piaceva moltissimo – e dell’Athena Parthenos – molto meno da lui ammirata – vedeva la sacralità delle dee e una compattezza, una forza propria delle robuste colonne, intese come solidi appoggi per i fedeli l’una e per gli Ateniesi l’altra; nelle diverse statue di Afrodite, l’armonia delle forme morbide e sinuose esprimeva – secondo don Ticozzi – l’ideale di madre feconda. Una attenzione particolare veniva richiamata dal Maestro sul Trono Ludovisi, specialmente sul rilievo in cui Afrodite, appena nata ma già adulta, esce dal mare: l’armonia delle forme accentuata dalla simmetria, secondo don Ticozzi, suggeriscono una serena e sacra armonia.

 

Oggi, in una scuola che ha smarrito la sua primaria funzione educativa e culturale, anche il liceo classico è in crisi, ‘ucciso’ dalle recenti riforme scolastiche. Che ne pensa? E per finire, qualche consiglio da dare agli studenti di oggi e ai loro insegnanti.

Dagli insegnamenti di don Ticozzi si potrebbero trarre preziosi argomenti a favore del liceo classico e preziosi consigli agli insegnanti.
Innanzi tutto bisognerebbe smontare alcuni pregiudizi sul fatto che il liceo classico sia superato e che ora sia più conveniente uno studio scientifico o tecnico, inoltre che non convenga impegnarsi nello studio di lingue classiche.
Occorrerebbe, poi, riformare la scuola media inferiore, reintroducendo il latino, almeno facoltativo, fin dal primo anno, così che i ragazzi non si trovino più in quarta ginnasio ad iniziare lo studio di entrambe le lingue classiche (ai miei tempi già alla fine delle elementari si affrontava un esame di ammissione al ginnasio, esame che riguardava anche l’analisi logica con riferimento ai casi latini, l’italiano scritto ed orale, la matematica e le materie minori, tra cui il dettato senza punteggiatura). Così, lemme lemme, piano piano, quando ci trovavamo in quarta ginnasio avevamo già studiato per tre anni scolastici il latino e tradotto sia dal latino all’italiano che viceversa, avevamo già studiate le Favole di Fedro, i Commentari di Cesare, le elegie di Tibullo ed Ovidio, letto interamente l’Odissea e l’Iliade nella traduzione in italiano fatta rispettivamente dal Pindemonte e dal Monti….

Bisognerebbe però anche trovare (o formare) insegnanti capaci di interessare gli allievi come faceva don Ticozzi…


                                                                               Marco Sampietro


IL GRINZONE N.45