RICONOSCERSI IN UNO SGUARDO: L’ESSENZA DELLA CURA

 

Parlo poco, chi mi conosce lo sa….

Ma nel mezzo di questa famosa “fase 2” si affollano alla mente tanti pensieri.

Sarà che eravamo un po’ tutti nella fase reattiva in cui c’era poco da dire e da pensare, ma tanto da fare…

Sarà che per quello che stava succedendo, e che non è ancora passato e non passerà per un bel po’, non c’erano e non ci sono parole.

Sarà che quando i ritmi si allentano e la tensione cala, ci si ferma a pensare.

E’ proprio vero che chi non ha un senso affina gli altri per compensare quello mancante; noi in questi quattro mesi abbiamo imparato a fare tante cose: a guardare quello che prima ci limitavamo a vedere, ad ascoltare quello che sentivamo e basta, a stringere e a sentire quello che soltanto toccavamo.



Abbiamo imparato a sorridere con gli occhi perché una mascherina ha sempre coperto i nostri volti, a riconoscerci con addosso tute da astronauti, a riconoscere negli occhi degli altri la tristezza, la paura, ma anche la commozione e la speranza… a riconoscere in un timbro di voce, udito in lontananza, una voce amica e dal rumore dei passi l’andatura di un collega.

Abbiamo lavorato con colleghi di altre specialità e insieme abbiamo fatto squadra in nome di un fine e di un sentire comune.

Ci siamo guardati quando eravamo veramente brutti: volti stanchi, solcati dai segni, occhi svuotati dalla vista di così tanta morte, mani impotenti di fronte a così tanta ingiustizia, labbra in certi momenti incapaci di incresparsi in un sorriso… ma ho anche pensato, in fondo, che eravamo tanto belli perchè ci siamo impegnati e dati da fare nonostante tutto, nonostante tanto…

E dai tanti pezzi in cui ognuno di noi si è sentito in tanti momenti abbiamo imparato a ricomporci, perché bisogna andare avanti, cercare di curare, far respirare.

Abbiamo imparato a raccontare bugie per non far preoccupare chi ci è vicino ed è terrorizzato dalle immagini viste in televisione: “tranquilli, tutto bene, sto bene…”; a nascondere quando siamo angosciati dal pensiero che i drammi a cui assistiamo ogni giorno, e in cui siamo dentro fino ai capelli, possono toccare i nostri cari, anche loro…

 E ora che la tensione si allenta, ma la malattia è ancora presente, non posso non pensare a tutto questo, perché fa ancora tutto così male… e la mente cerca di scacciare la paura che tutto questo possa ricominciare per fretta, per imprudenza, per stanchezza.

 “ Non respira”.

“ Aumenta l’ossigeno”.

“ Mettiamo il casco”.

“ Va intubato”.

“ Da non rianimare”.

Ragionare, fermare il gesto, far respirare.

Con questi pensieri credo di interpretare i sentimenti dei miei compagni di viaggio, a cui penso quando leggo queste parole di Hemingway: “…..le guerre sono combattute dalla più bella gente che c’è, o diciamo dalla gente… per quanto più ci si avvicina a dove si combatte è tanto più bella la gente che si incontra….”

Non una nota di polemica, ma di riflessione, perché non penso che quando tutto questo sarà finito saremo migliori, ma mi auguro soltanto che non dimenticheremo… noi che abbiamo visto, non dimenticheremo sicuramente.

A tutti quelli che ci sono stati

Ai miei colleghi

Ai miei anestesisti-rianimatori

Ai pazienti in cui, più che mai, abbiamo riconosciuto un nonno e una nonna, un padre e una madre, un fratello, un amico…

A chi è rimasto a casa

A chi, attraverso i suoi occhi, anche senza chiedere, non mi ha fatto dimenticare la bellezza dei posti in cui sono nata e vivo

Grazie.


                                                                                Maddalena Ticozzi
infermiera di Rianimazione



IL GRINZONE n.71