TRE MESI CHE MAI AVREI IMMAGINATO DI VIVERE...


È il 22 febbraio e all’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi, viene ricoverato un uomo di trentotto anni, sano e sportivo: ha una gravissima polmonite che non risponde alle terapie. I primi sospetti che possa trattarsi di coronavirus vengono a una dottoressa che lavora in quella struttura, sospetti che verranno purtroppo confermati.

La sera del giorno successivo ricevo un messaggio: per coronavirus si sta muovendo il mondo; arriveranno indicazioni urgenti in serata.

Prima indicazione: non affollare gli studi.

Possibilmente visite su appuntamento. Con i colleghi creiamo un gruppo su WhatsAapp per facilitare uno scambio il più possibile tempestivo di informazioni in un clima di assoluta confusione e incertezza. Qualcuno subito scrive chiedendo quando sarebbero stati forniti i dispositivi di protezione. Purtroppo arriveranno solo dopo 20 giorni.

Il 25 febbraio cominciano a palesarsi i primi casi sospetti ma, a causa della scarsa reperibilità, i tamponi non vengono fatti in assenza di febbre superiore ai 37,5°. Nei giorni seguenti la situazione nella nostra zona rimane stabile mentre nel Bergamasco i casi aumentano in modo esponenziale e purtroppo anche le morti.

Il 10 marzo inizia il lockdown. e lo stesso giorno vedo il il primo caso certo di covid: febbre a 38,5°, dolori addominali ma nessuna sintomatologia respiratoria, anche se ormai siamo consapevoli che la malattia può manifestarsi senza raffreddore o tosse. Il mattino seguente le condizioni del paziente si aggravano a tal punto che diventa necessario il ricovero in rianimazione. Lo stesso giorno a un collega sale la febbre, costringendolo a disdire tutti gli appuntamenti; un paio di giorni dopo mi chiamerà dicendo di avere la polmonite da coronavirus. Nel frattempo a Primaluna avviene il primo decesso accertato, anche se si erano già verificate almeno altre due morti sospette ma senza aver eseguito il tampone.

Nel giro di pochi giorni la situazione precipita. Sono davvero sotto stress, un collega si è ammalato e un altro è appena andato in pensione... I malati con febbre e sintomi ormai noti e riconoscibili sono tantissimi, so benissimo trattarsi di covid-19 ma mi è impossibile visitarli a causa della scarsità di dispositivi di protezione adeguati.

Il clima di paura cresce costantemente con la televisione che ogni sera ci aggiorna sulle migliaia di contagi, di cui centinaia sono medici e operatori sanitari fra i quali ci sono decine di vittime, alcune delle quali conoscevo personalmente.

Le giornate diventano durissime, innumerevoli sono le telefonate dei pazienti terrorizzati che chiedono tamponi, congedi per malattia o semplicemente informazioni. Ormai i malati sono moltissimi ma mi è impossibile stabilirne la gravità, non potendo quasi mai visitarli e soprattutto non sapendo quale terapia prescrivere. Un gran numero fra questi pazienti è costituito da soggetti fragili che meriterebbero di essere ricoverati, ma ormai le strutture sanitarie sono sature e totalmente prive di posti disponibili.

Il 25 marzo è una giornata bruttissima: a Introbio si verificano 2 decessi di persone ancora abbastanza giovani e in buona salute. Intanto, benchè sconsigliato, non ho potuto non fare qualche visita a domicilio nonostante il rischio di ammalarmi.

A casa, per evitare di contagiare i miei famigliari, mangio da solo, dormo da solo, tengo la mascherina e nessuno mi avvicina. Questi ritmi dureranno per almeno un mese e non so come faremo a reggere.

 

 


La situazione inizia a migliorare verso la fine di marzo quando riceviamo istruzioni precise sull’impostazione delle terapie a domicilio (perlopiù una combinazione di azitromicina, idrossiclorochina, celecoxib e enoxaparina). I pazienti migliorano, la febbre scompare e non devo più ricoverare nessuno.

Il primo aprile riesco a sottopormi al tampone che risulta fortunatamente negativo.

Incomincio a vedere un po’ di luce in fondo al tunnel.

Passate tre settimane di assoluta emergenza, entriamo in una nuova fase: abbiamo dispositivi di protezione, ossigeno e saturimetro e possiamo attivare dei medici per le visite a domicilio. La nuova priorità diventa il controllo del numero dei contagi e la re-integrazione al lavoro dei guariti.

Rimane il problema di coloro che, pur non avendo mai presentato sintomi e non avendo potuto sottoporsi al tampone, sono comunque stati in contatto con pazienti sospetti e quindi sono desiderosi di sapere se hanno contratto la malattia in forma asintomatica e possono eventualmente risultare contagiosi.

Esiste la possibilità di ottenere queste risposte grazie a dei test sierologici, garantiti in numero insufficiente dalla Regione Lombardia ma disponibili privatamente presso alcuni laboratori.

Questi tre mesi, che mai avremmo immaginato di vivere, ci hanno scossi e spero cambiati. È difficile spiegare, soprattutto per chi fa questa professione, cosa si prova nel vedere le persone ammalarsi senza poter intervenire, vederle abbandonate a se stesse, senza assistenza, senza terapie efficaci, destinate a una morte solitaria, senza l’affetto dei propri cari e senza un degno funerale.

Ogni esperienza mai vissuta prima aggiunge qualcosa alla nostra vita. Abbiamo capito che non siamo capaci di controllare la natura. Abbiamo bisogno di un bagno di umiltà.

Non possiamo semplicemente lasciarci alle spalle questo capitolo buio della nostra storia, abbiamo il dovere di rileggerlo e di capirne gli insegnamenti profondi, imparando a non sottovalutare l’importanza di servizi fondamentali per la comunità, come la sanità, l’istruzione ecc.

 

Dr. Giampiero Bellini
medico di medicina generale


IL GRINZONE n.71