INDEMONIATI E MALEFICIATI NELLA PASTURO DEL SEICENTO?

Un prontuario per riconoscerli

 

Esplorando e soprattutto scavando quella autentica miniera che sono i nostri archivi parrocchiali, si possono rintracciare, sia pure in un noioso e (letteralmente) polveroso setaccio, notizie spesso inedite e di non facile reperibilità perché incastonate in antiche carte - tantissime - con le loro scritture frequentemente oscure. Come il lavoro in miniera è considerato notoriamente una delle attività più faticose e logoranti, così lo è la ricerca d’archivio che fornisce sì materiali preziosi ma a costo di una grande fatica. Una fatica che viene però spesso e volentieri ripagata da sorprese inaspettate o da notizie illuminanti che contribuiscono a ricostruire il tessuto sociale e umano del nostro passato, che - quando si incomincia a conoscerlo, a frugare tra le sue pieghe - non è sempre “passato”, anzi è spesso ricco di futuro. Gli archivi sono, insomma, luoghi nascosti ma fecondi, dove attecchiscono i semi delle storie, come quella che stiamo per raccontare.

Pasturo, Anno Domini 1630. Dopo la grande carestia del 1628, dal 18 dicembre 1629 al settembre 1630 la peste di manzoniana memoria aveva mietuto le sue vittime: ben 432 persone, una vera e propria ecatombe. Falcidiate dalla pestilenza, scomparvero intere famiglie: dei 164 fuochi o famiglie che si contavano a Pasturo nel 1628 si era scesi drasticamente a 97 nel 1630. Il curato di quegli anni, don Pietro Platti, con la sua nitida calligrafia, registrò accuratamente sul Libro dei morti i nomi dei 432 pasturesi deceduti a causa della peste. Le pagine ingiallite di quel registro - uno dei pochi della peste manzoniana che si siano conservati negli archivi parrocchiali della Valsassina - ci fanno respirare quel clima di terrore che portava con sé il solo pronunciare la parola “peste”, che gettava le popolazioni nello sconforto, creava panico collettivo, stravolgeva tutti i rapporti familiari e sociali e i ritmi quotidiani di vita. Al terrore della peste si aggiungeva nel Seicento anche un’altra paura, quella del demonio, sempre e ovunque presente: esso dominava l’immaginario collettivo, teneva costantemente in ansia l’individuo, suggestionava e limitava l’azione individuale e sociale. Era lui l’essere misterioso che sovrastava minaccioso la vita e sulla sua persona andavano a concentrarsi tutte quelle paure (malattia, fame, povertà, peste, guerra) che condizionavano il vivere e la mentalità di un tempo. Ne è una eloquente testimonianza il retro dell’ultima carta del registro dei morti di peste a Pasturo.

Ci troviamo di fronte ad un interessante prontuario - ad uso del parroco - per riconoscere i signa, cioè “gli indizi, i segni, i segnali”, di chi era posseduto dal demonio o di chi era vittima di un maleficio, cioè era colpito da fattura, al fine di condannare e reprimere là dove le necessità lo avessero richiesto tutti quei comportamenti magico-religiosi che per riti, formule e gesti risultassero ambigui e quindi sospetti di essere ispirati dal maligno. Tutto ciò era perfettamente in linea con il decreto De Superstitionibus (contro la magia, la stregoneria e le superstizioni) emanato da Carlo Borromeo nel 1576.
In questa azione pastorale e al tempo stesso “poliziesca” di controllo giocavano un ruolo importantissimo i parroci, i quali, come don Platti, erano chiamati a vigilare e a relazionare per iscritto su ogni abuso e ogni comportamento scandaloso. Era dunque fondamentale la loro preparazione anche nel riconoscere i signa di possibili azioni demoniache, come attestano per l’appunto i signa di Pasturo che prendono quasi sicuramente le mosse dal fortunato Compendium maleficiarum (“Compendio delle stregonerie”) del frate milanese Francesco Maria Guaccio pubblicato per la prima volta a Milano nel 1608 e in una nuova edizione nel 1626: la fonte è il famigerato Malleus maleficarum (“Il martello delle streghe”) di Sprenger e Intistoris del 1486, vera pietra miliare nella caccia alle streghe. Le carte d’archivio non ci svelano casi di indemoniati o di maleficiati in quel di Pasturo. Ad ogni modo la paura del demonio doveva essere ben presente anche nel paese ai piedi della Grigna dove - come ci riferisce Andrea Orlandi nel suo articolo Fole, folletti, fantasmi e streghe in Valsàssina apparso su “All’Ombra del Resegone”, ottobre 1929, pp. 218-222 - esiste in località Alghèr nel territorio di Pasturo un macigno denominato Corna del pecaa, abbandonato dal demonio al rintocco fatale dell’Ave Maria.


Da un ammasso polveroso di carte ritenute importanti solo da qualche nostalgico o appassionato è emersa alla fine una tessera del mosaico del nostro passato.

Se è vero che la grande storia cresce sui campi della piccola storia, è altrettanto vero che la piccola storia si nutre di fili d’erba, forse poco significativi presi uno a uno, ma che insieme creano senz’altro buoni e ubertosi pascoli.

                                                                                             

                                                                                                Marco Sampietro

 

Un grazie di cuore, per le occaioni di scambio e arricchimento, a Piera Guidotti Bacci, Augusta Corbellini, Ida de Gregorio, Natale Perego e Giancarlo Reggi.

 

 

IL GRINZONE n.64