LA MEMORIA DEI SEGNI 

 Frammenti di vita quotidiana al tempo della Grande Guerra

 

L’8 agosto 2020 a Ponte di Legno (BS) è stata presentata l’opera “I Cimiteri Militari della Guerra Bianca sul fronte dell’Adamello” composta da due volumi per oltre 900 pagine, scritta da Walter Belotti, Mauro Ezio Cavalleri, Amerigo Pedrotti e Massimo Peloia. Con una assolutamente men che minima mia collaborazione: ho messo a disposizione alcune immagini (rinvenute in una busta di stoffa verde militare, conservata da mio padre prima e da mia madre Delfina dopo la sua morte), relative a mio nonno, di cui porto il nome, Alpino del Battaglione Val d’Intelvi, deceduto in combattimento durante la conquista del Passo dei Segni il 13 agosto 1918. Alcune di queste immagini sono state pubblicate nel primo volume dell’opera.

Controllando e leggendo con più attenzione il materiale ritrovato mi è venuta l’idea di cercare di ricostruire, giocoforza molto superficialmente, quel difficile periodo vissuto dalla metà valsassinese della mia famiglia, come da tantissime altre di tutta Italia. Per le informazioni di carattere militare mi sono rivolto all’Archivio di Stato di Como (dimostratosi molto disponibile e molto efficiente) e a Presidente e collaboratori - estremamente competenti e oltremodo pazienti nei miei confronti - del Museo della Guerra Bianca di Temù, veramente interessante, che ho visitato tre volte e che consiglio caldamente a tutti di visitare.

Mio nonno Ettore Rigamonti, ‘Folatt’, era nato a Introbio nel 1886, di professione faceva il sarto, e aveva sposato il 10 maggio 1911 a Pasturo Rosetta Ticozzi, all’anagrafe Rosa Maria Angela, figlia di Ignazio Ticozzi, ‘Panarot’, e di Elena Arrigoni. Ignazio era stagionatore e commerciante di formaggi, specializzato in “Robbiolini Grigna e Formaggini di Capra”, come riportano le sue cartoline commerciali. Rosetta era nata a Pasturo il 31 luglio 1888, secondogenita di sette tra fratelli e sorelle. Tra queste la primogenita, Francesca (Cecchina), fu per tanti anni la postina di Pasturo.

Il nonno, in congedo illimitato provvisorio, era stato richiamato alle armi il 7 novembre 1915 e assegnato al Battaglione Morbegno e quindi al Val d’Intelvi, 245a Compagnia. Raggiunse la zona di guerra il 14 novembre 1915. Per l’intera durata della guerra il suo Battaglione operò nella zona dell’Adamello.

Nel plico ho trovato 45 tra lettere, cartoline e cartoline postali (a suo tempo in parte mutilate - da me e da mio fratello Sergio bambini - dei francobolli, rossi da 10 centesimi e verdi da 5, con l’effigie di Vittorio Emanuele III) scritte dal fronte (o “dalla fronte”, come allora si usava) alla moglie e al figlio Peppino, mio padre, tra il gennaio 1917 e il 12 agosto 1918, la sera prima del combattimento che gli fu fatale, e 9 lettere di Rosetta al marito, spedite in parte da Introbio dove si era trasferita dopo il matrimonio e in parte da Pasturo, dove trascorreva diversi giorni a casa dei genitori.

Nella busta anche qualche scritto di Gina e di Felice Ticozzi, sorella e fratello di Rosetta.

Le missive del plico sono cartoline illustrate (con temi rigorosamente di fantasia, essendo vietato l’utilizzo di cartoline con paesaggi o panorami di città), cartoline postali, cartoline postali in franchigia del Regio Esercito e lettere. Tutte rigorosamente provviste di timbro (le cartoline) o di linguetta adesiva (le lettere) di VERIFICATO PER CENSURA.

Le cartoline venivano verificate dal comando del Battaglione di appartenenza, le lettere invece dal concentramento di Treviso per la censura: ogni addetto riusciva a controllare 200-250 lettere al giorno, mentre la posta da controllare tra arrivi e partenze assommava a 3-4 milioni di pezzi al giorno. Possiamo immaginare il ritardo con cui venivano recapitate… Poi in caso di fatti bellici particolari, come nel caso della ritirata di Caporetto, per il ritardo nel controllo e il conseguente accumulo si preferiva distruggere le missive piuttosto che tralasciare la censura.

Ai periodi in prima linea si alternavano periodi di 

riposo in fondovalle. Tra il 24 maggio 1915 e il 4 novembre 1918 - l’intera durata della guerra - il Val d’Intelvi trascorse oltre 900 giorni in linea e 360 in riposo. Durante i periodi di riposo, sempre troppo brevi, ci si riforniva anche di carta e di cartoline per scrivere ai familiari : “Ora poi se non venivo a riposo non avevo più ne carta ne cartoline, e le cartoline in franchigia impiegano così tanto tempo, come tu stessa mi hai detto, ti ricordi? “ scrive mio nonno alla moglie il 21 giugno 1918.

Nelle lettere si parla di vita di tutti i giorni, di parenti, di amici: la guerra figura soprattutto nell’aggiornamento sui conoscenti rimasti feriti o tornati in licenza al paese. Un’unica eccezione: in una lettera del 15 giugno 1918, scritta da Pasturo, mia nonna dice “Anzi oggi tutto il giorno e tutta la notte si sentono i cannoni e noi giudichiamo che ciò sia dalle vostre parti. Fammi sapere qualche cosa che desidero saperlo.” In linea d’aria tra Pasturo e l’Adamello ci sono oltre 100 chilometri: possiamo solo immaginare in quale inferno debbano essersi trovati i combattenti in zona. Il 21 giugno il nonno risponde “Riguardo a quanto mi domandi sulla tua lettera purtroppo è tutto vero. Non mi posso spiegare meglio”. La censura vigilava.

Ho cercato di approfondire per quanto potevo le mie conoscenze sui combattimenti del 13 e 14 agosto 1918, nel corso del quale persero la vita 93 militari, tra cui 2 ufficiali, e ne rimasero feriti 549 (58 i dispersi), scoprendo che in quelle operazioni fu mortalmente ferito anche un soldato di Pasturo, ricordato sul monumento ai caduti di fronte al Municipio: Pietro Domenico ALIPRANDI (sulla lapide manca “Pietro”), figlio di Carlo, deceduto il 16 agosto 1918 all’Ospedale da Campo di Edolo in seguito alle ferite riportate in combattimento. Aliprandi è spesso citato nelle lettere del nonno: pur non appartenendo alla medesima Compagnia andando in licenza entrambi recapitavano le lettere dell’amico ai congiunti, e tornando al fronte consegnavano i pacchetti con vestiario e alimenti (ho letto di richieste di calze - il fronte era attestato attorno ai 2500/3000 metri - quartirolo, gorgonzola, un piccolo coltello).

Il vitto per le truppe in zona di operazioni comprendeva 700 grammi di pane al giorno, 350 di carne fresca (335 se congelata), 150 grammi di pasta o di riso, 20 grammi di caffè e 30 di zucchero, 25 cl di vino. Questo dalla fine del 1917, per migliorare le condizioni di vita e il morale dell’esercito dopo Caporetto. Prima erano ancora più ridotte, e comunque i soldati facevano ben fatica a farsele bastare.

Oltre agli Austroungarici gli alpini dovevano combattere un altro nemico, ancora più pericoloso, il clima dell’alta montagna. L’inverno durava otto mesi ininterrotti, con nevicate abbondanti da ottobre a maggio e altezze medie della neve da 10 ai 12 metri. Il freddo, nemico quotidiano e implacabile, oscillava mediamente in questo periodo dai -10° ai -15° con punte notturne da -20° a -25° e anche oltre.

Le calorie fornite dal rancio venivano rapidamente bruciate dalla permanenza in prima linea, dai servizi a quelle alte quote e dalle pesanti corvée su mulattiere, sfasciumi, sentieri appena incisi in roccia, neve e ghiaccio per portare i rifornimenti (si stima che fosse necessario il lavoro di 7 uomini per consentire la presenza in prima linea di un solo combattente).

Ogni integrazione da casa era quindi certamente benvenuta, anche se più passava il tempo più diventava difficile per le famiglie inviare qualcosa: “Avrei voluto mandarti anche qualche pacchetto ma non ho proprio niente e nemmeno ho la comodità di comperarne perché non c’è più niente. Ma pazienza!”, scrive mia nonna da Introbio il 25 giugno 1918.

Nelle lettere di mio nonno sono spesso citati altri commilitoni appartenenti alla sua stessa Compagnia, la 245a: Simone Ticozzi di Pasturo, fratello della moglie, Giovanni Battista De Dionigi, sempre di Pasturo, e Mosè Manzoni di Moggio. Anche grazie a loro lettere e cartoline raggiungevano i destinatari.

Consultando gli atti di morte relativi ai caduti del 13 agosto ho scoperto, tragica ironia della sorte, che Mosè Manzoni e mio nonno persero la vita nel medesimo combattimento, alla medesima ora (le 10 del mattino), colpiti quasi sicuramente dalla medesima mitragliatrice. Così recitano gli atti di morte redatti dal comandante della Compagnia, il Capitano Majnoni: per Rigamonti “ferite da mitragliatrice alla testa”, per Manzoni “ferite multiple da mitragliatrice”.

Citato diverse volte nelle lettere di mio nonno è anche il cognato Felice, al quale lo legava una sincera amicizia. Felice Ticozzi, classe 1893, era panettiere all’epoca della partenza per il servizio militare, il 9 settembre 1913: a causa dello scoppio della guerra venne trattenuto in divisa sino al 19 settembre 1919, trascorrendo così oltre sei anni sotto le armi, in otto diversi reparti, sempre di Fanteria.

La sua preparazione professionale fu utilizzata dal Regio Esercito per l’intero periodo bellico: fu sempre impegnato a sfornare pane tramite i forni Weiss, forni mobili a legna, montati su ruote e trainati da cavalli (e dal 1918 anche autotrainati). I tre turni giornalieri di squadre di sette persone consentivano a ciascun forno di preparare, in prossimità della prima linea, sino a 3000 razioni di pane in 24 ore.

Dopo il congedo condusse per tanti anni il panificio/panetteria nell’edificio di fronte al cineteatro Bruno Colombo, poi rilevato da Carlo Fumagalli, cui subentrò - sino al 1995 - Ambrogio Ticozzi (Gigi), figlio di Costantino, fratello di Felice. Ora quei locali ospitano la Pizzeria Egitto.

Non avendo ritrovato alcun riferimento in materia nelle lettere del nonno, mi sono sempre chiesto come avvenisse il tragitto verso il fronte al termine delle licenze per tutti i Valsassinesi assegnati al settore Tonale-Adamello. Lo immagino così.

Da Introbio o Pasturo a Lecco con i mezzi della “Società Automobili per la Valsassina”, che gestiva le linea Lecco - Bellano con due corse giornaliere in un senso e due nell’altro: stando all’orario del 1° ottobre 1915 per il tratto Introbio - Lecco occorreva un’ora esatta, al costo di 3 lire e 15, mentre per il tratto Pasturo - Lecco occorrevano 50 minuti al costo di 2 lire e 75. Quindi treno sulla linea Lecco-Bergamo-Rovato, e poi la Rovato-Edolo. Infine 21 km a piedi sino a Ponte di Legno, o nella migliore delle ipotesi utilizzando i mezzi della “Messaggeria Postale Alta Valle Camonica”, due corse al giorno.

Solo per dare un’idea dei tempi: nel 1916-1918, i viaggi via ferrovia da Brescia a Edolo (102 km, da Rovato a Edolo i km sono ‘solo’ 92) duravano tra le 7 e le 13-14 ore a seconda delle circostanze (soste in tutte le stazioni per mettere a pressione la caldaia della locomotiva; non sempre era disponibile il carbone e quindi il ricorso alla legna richiedeva maggior tempo).

Una vera impresa solo rientrare alla propria Compagnia.

Mio nonno è sepolto nel Sacrario del Tonale assieme a circa altri 800 caduti, molti dei quali travolti da valanghe, a testimonianza della durezza degli inverni di guerra. Nel Sacrario riposa anche un pasturese, Federico Invernizzi di Giuseppe, nato il 15 luglio 1897, deceduto a vent’anni l’11 Settembre 1917 per le ferite riportate in combattimento.

Anche il suo nome compare sul monumento ai caduti di Pasturo.

 

                                                                                                     Ettore Rigamonti


IL GRINZONE n. 75