STORIA DI AHMAD


Il 3 aprile, a conclusione del ciclo di cineforum, il conduttore Gino Buscaglia ha proposto la visione del docu-film “Ma quando arriva la mamma”, con la diretta partecipazione del regista Stefano Ferrari e di una mamma coinvolta nella vicenda. Il documentario si basa su una storia vera che in queste pagine Ferrari ci racconta con la passione e la sensibilità che lo contraddistinguono.

C’era una volta? No, questa volta il c’era una volta tipico delle favole non ci sta proprio perché questa storia c’è, c’è ancora ed è vera. E' la storia di una famiglia: un papà, una mamma, tre figli maschi e una femmina. Una famiglia unita, che in una bella casa di un tranquillo paesino si riuniva alla sera per cenare tutti assieme. Un po’ di televisione e poi tutti i bimbi a nanna.

Questo fino a 7 anni fa, quando tutto cambiò.



Fino a quel momento si guardava in alto, al cielo, con occhi sereni, talvolta incantati dalla colorazione dei tramonti.

Da oggi, da quello stesso cielo, piovono bombe. E le case possono diventare un cumulo di macerie da un momento all’altro. Bum.

Cosa fare? Scappare? Sembra inevitabile. Ma dove? Con quattro bambini, due dei quali dovrebbero iniziare la scuola.

Non c’è tempo per riflettere, per valutare, per preparare il viaggio. Si deve uscire da quella terra che fino a poco tempo fa era l’unico posto dove si voleva vivere ed ora è diventata un inferno inospitale: la Siria.

La guerra è iniziata e la serenità, la vita normale, fatta di cose normali, è finita.

Sull’auto il papà riesce a farci stare mezza casa, il tetto è così carico che le ruote sembrano a terra, schiacciate da quel peso. Anche il cuore di tutti è schiacciato, schiacciato dal dolore. I bambini piangono, la mamma tenta di consolarli trattenendo le lacrime. Lacrime che agli occhi del padre non sembrano essersi mai presentate, a lui è stato insegnato a non piangere mai.

Un colpo di gas e via; guardando indietro la casa in un attimo sembra piccolissima, lontana, sbiadita.

Si arriva al confine tra Siria e Iraq quando il cielo, cupo, sta oscurandosi. I bambini dormono, uno appoggiato all’altro. I controlli al confine fanno palpitare il cuore dei genitori. Dopo un’attesa che sembra eterna, è fatta, si può passare, la Siria è lasciata alle spalle.

Trovare un tetto dove poter stare tutti assieme in Iraq non è stato facile. Anche perché si è cercato un appartamento in una cittadina che ospita una delle rare cliniche specializzate del paese nelle cure di quella malformazione che dalla nascita impedisce al figlio più piccolo, Ahmad, di camminare.

E la cosa più difficile è costruirsi una nuova vita. Serve un lavoro per sperare di poter pagare le cure per Ahmad, visto che la clinica è molto cara e non offre nessuna cura gratuita, neanche ai bambini.

Il papà riesce a trovare un impiego provvisorio in una ditta di trasporti come autista di camion, ma non si può sapere fino a quando questo lavoro durerà. Per i bambini invece, non c’è né scuola, né all’asilo. Per loro e per la mamma le giornate sono vuote, senza amici.

Passano le settimane e il padre non viene più chiamato al lavoro. I soldi cominciano a scarseggiare e non si può certo sperare nell’aiuto di qualcuno, né tantomeno dello Stato. Ahmad ha bisogno di cure, i suoi piedi continuano a ferirsi perché lui non sente il dolore durante lo sfregamento con l’asfalto mentre si trascina. La mamma deve improvvisarsi infermiera nel medicarlo ogni sera.

Un giorno il padre, sempre più disperato per non riuscire a mantenere la famiglia, sente dire da un vicino di casa che alcuni tentano la via dell’Europa. Si dice che là sono garantiti i diritti umani e che i siriani sono benvenuti. Subito si informa su come si può raggiungere un paese europeo. Il bisogno di trovare un posto dove ci si possa sentire protetti è grande come grande è il prezzo da pagare a coloro che possono permettere l’attraversamento dei molti confini, i cosiddetti passatori.

Una sola cosa è certa: non ci sono i soldi per poter partire tutti insieme.

Che fare allora? Rinunciare a partire e rimanere in Irak sperando in un lavoro sicuro che sembra diventato un sogno irraggiungibile?

Il padre decide di fare una proposta alla moglie: partire con Ahmad e Falamaz, il figlio più atletico, nella speranza di raggiungere l’Europa, trovare un lavoro e mandare i soldi al resto della famiglia affinché possa poi riunirsi.

Ma quanto tempo dovrà passare prima di potersi riabbracciare? E soprattutto prima di poter assicurare le cure ad Ahmad?

Nessuna madre vorrebbe mai prendere in considerazione la possibilità di separarsi dai figli. Una scelta dolorosa come una pugnalata, ma dettata dalla speranza che possano avere un futuro in quell’Europa che sembra inarrivabile.

La decisione è presa: partono il padre Kameran con Ahmad e Falamaz. Cammineranno per giorni e giorni, con Ahmad sulle spalle del padre e Falamaz a portare poche ma pesanti borse.

Sul gommone che dalla Turchia li stava portando, schiacciati con altri migranti, in Grecia, il motore si rompe. E Kameran riesce a fare il miracolo: lo aggiusta e porta tutti in salvo.

Poi, arrivati in Germania: Alt, Polizei!!

La polizia li ferma, li porta in un locale e registra le loro impronte. Poi li lascia andare. Volevano raggiungere la Svizzera perché avevano sentito che la spina bifida di Ahmad poteva essere curata al meglio. Raggiungono quindi il Canton Ticino dove chiedono asilo.

Dopo un anno e mezzo in cui Ahmad e Falamaz vanno per la prima volta a scuola, arriva la decisione di allontanamento dalla Svizzera che fa valere il trattato di Dublino che prevede che l’asilo va chiesto nel primo paese di registrazione: la Germania. Ahmad e Falamaz vengono accompagnati insieme al papà dalla polizia svizzera fino in Germania, con grande dolore di tutte le persone del villaggio di Giubiasco che si erano affezionati a loro.

E da qui parte il film documentario in cui seguiamo la lotta di un gruppo di mamme svizzere per la salute di Ahmad e per dare una risposta alla domanda che ogni sera faceva al padre “Ma quando arriva la mamma?”

La mamma è sempre bloccata in Iraq perché la Germania non concede ancora il ricongiungimento familiare. E questo mentre si affaccia nella vita di Ahmad l’urgenza sanitaria. Infatti i medici dicono che non c’è più tempo da perdere: la sua spina bifida va operata al più presto per sperare di camminare altrimenti il bambino sarebbe condannato alla sedia a rotelle.

Si attiva così il gruppo di mamme svizzere, autocostituitosi “mamme senza frontiere”, con una raccolta di firme per chiedere direttamente alla cancelliera tedesca Angela Merkel un visto umanitario per permettere alla mamma di Ahmad di raggiungerlo a Monaco, dove è prevista l’operazione. Firmano l’appello 4.087 cittadini svizzeri, uniti nell’affetto verso il bambino.

La risposta da parte delle autorità tedesche è un simbolo della cinica freddezza che caratterizza la politica d’asilo europea in molti paesi. Rispondono infatti negativamente al gruppo di mamme motivando il rifiuto di visto umanitario con il fatto che il padre con i due figli non viaggiano regolarmente in Europa, considerati quindi clandestini! Inoltre manca, secondo le autorità, una garanzia che la madre, scaduto il visto urgente, torni in Iraq.

Il bambino viene quindi operato senza la vicinanza della madre. L’operazione è riuscita e inizia per Ahmad una lunga riabilitazione che lo porta a cominciare a camminare, seppure con l’aiuto di un deambulatore.

Ma la notizia che più lo farà felice è che dopo più di un anno dall’arrivo in Germania viene finalmente riconosciuto il diritto all’asilo e il ricongiungimento famigliare con la mamma (insieme ad altri due figli).

Ahmad chiede di potersi travestirsi da Superman per il grande evento all’aeroporto di Monaco. Dalla Svizzera lo raggiungiamo con il vestito da supereroe che ritengo profondamente coerente con quello che il bambino, ma anche il padre e il fratello, hanno fatto per essere arrivati fin qui dalla Siria.

Nella hall degli arrivi dell’aeroporto di Monaco, la mia telecamera si bagna delle mie lacrime, quando dopo una lunga attesa vediamo comparire la medicina più potente per ogni bambino malato, colei che tutto può lenire e curare: la mamma.

Questa storia vera è dedicata a tutti quei bambini che non hanno avuto un gruppo di mamme che hanno lottato per loro, come nel caso di Ahmad, e che ancora sono divisi incomprensibilmente dalla loro madre.


                                                                                Stefano Ferrari


IL GRINZONE n. 67