VIATICUM

Stanziali per Caso, Nomadi per Natura

 

Makio Manzoni, docente pasturese presso il Liceo Artistico di Monza, ha vinto il Concorso “L’Europa inizia a Lampedusa” grazie al Progetto “Viaticum” realizzato con gli studenti di alcune classi del triennio.


Nasciamo, per così dire,
provvisoriamente da qualche parte;
soltanto poco a poco andiamo componendo
in noi il luogo della nostra origine,
per nascervi dopo,
e ogni giorno più definitivamente.”                                                                                

R.M Rilke

 

IL PROGETTO

Il progetto parte da una riflessione sulla nostra condizione rispetto al tempo in cui viviamo, l’età dell’immagine, e di come reagiamo al massiccio numero di immagini che quotidianamente percepiamo, che quotidianamente ci investono, ci condizionano, che quotidianamente cerchiamo o crediamo di comprendere. Penso che quest’immersione totale nell’immagine stia annebbiando le nostra capacità inventive, riducendo il nostro immaginario. Forse la velocità delle proposte fa in modo che non ce ne accorgiamo. Il tutto sotto il nostro naso.

La sovraesposizione ad immagini di svariato tipo, cartacee, digitali, virtuali, ci ha anestetizzati rispetto alla loro comprensione. Nella velocità delle sequenze con cui ci vengono proposte, il loro contenuto è come se non potesse sedimentare in noi perché, subito, deve lasciare lo spazio ad un’altra immagine, ad un'altra percezione. L’ordine in cui ci vengono proposte non è funzionale alla comprensione, segue altri fini, altri profitti. Il risultato è che possiamo vedere rappresentazioni che trattano tematiche complesse, spaventose, con un realismo devastante, restando insensibili perché risucchiati dal vortice del consumo che, un istante dopo, ci propone temi, forme e colori che riguardano tutt’altro, non con leggerezza ma con superficialità. Il problema non è il contenuto, ma la modalità e il contenitore con cui ci viene proposto.



Un giovane forse non comprende nemmeno di essere travolto da questa ipervelocità che lo circonda e sembra illuderlo che può essere tutto, può fare tutto, senza però dargli alcuno strumento per farlo. Non credo che la soluzione sia semplicemente un ritorno alla lentezza, che solo una parte di persone conosce e può banalmente rimpiangere, ma cercare di sviluppare esperienze concrete, tangibili, che utilizzino la tecnologia realmente come mezzo. Esperienze che ricordino come i mezzi di comunicazione siano i mezzi, non la comunicazione. Quando una società si rifugia nella cultura esasperata dell’immagine e del corpo, forse maschera un vuoto. Proviamo a colmarlo.

Anche i fatti più tragici della nostra storia, quando sovraesposti mediaticamente senza criterio, rischiano di perdere concretezza, rischiano di sbiadire e, nella ridondanza del messaggio, di non essere più analizzati e compresi. Non credo ad un rispetto calato dall’altro, credo in un rispetto che arriva dalla conoscenza dei fatti, dal libero arbitrio e dalla condivisione di un’esperienza.

Queste personali riflessioni spiegano perché, per affrontare le tematiche della Giornata della Memoria, abbiamo preso in esame l’idea del Viaggio, per poi declinarla nelle diverse tipologie: dal viaggio di formazione a quello di svago, dall’idillio nella natura ai viaggi forzati. Nel nostro percorso abbiamo analizzato gli strumenti del viaggio, la nostra identità, i concetti e le differenze tra luogo e territorio, i sentieri battuti, la strada. Partendo dal viaggio si sperava di giungere, come possibile approdo, all’obbiettivo “Giornata della memoria” senza forzature.
Non volevamo essere travisati, non volevamo essere ridondanti, volevamo comunicare il concetto di memoria attraverso un’esperienza condivisa.  

Nel suo significato etimologico il concetto di viaggio deriva da “viatico”, cioè da ciò che occorre per il viaggio stesso. L'idea del viaggiare è quindi in origine strettamente interconnessa a ciò che portiamo con noi per il viaggio. Di conseguenza abbiamo individuato il bagaglio, la valigia, come traccia del nostro passaggio, come simbolo allo stesso tempo universale per riconoscibilità e personale per forma e contenuto. All’elemento scenico da utilizzare si è giunti così in maniera direi filologica…

Nei mie primi giorni di servizio presso il Liceo Artistico Nanni Valentini Villa Reale di Monza, la corte interna della scuola mi è subito parsa come un luogo favorevole all’adunata, alla raccolta delle persone. Avevo già costruito negli anni precedenti, in altre scuole*, un buon numero di valigie, ma non avevo ancora trovato l’occasione, il luogo propizio, dove sviluppare il progetto. La nostra corte era il posto giusto.

L’idea, poi condivisa e cresciuta con dirigente, colleghi e studenti, era quella di presentare una vera e propria adunata, un insieme di persone (130), ognuna con il proprio bagaglio che, una volta giunta all’interno del cortile, si fermasse, come persa in un’attesa. L’attesa termina con un segnale sonoro che muove e unisce tutto il gruppo in un corpo unico, un gruppo che sottostà ad un ordine. Chiaro il riferimento alla situazione dei deportati: ciò che cambia è la conseguenza di questo suono e movimento perché, dopo aver obbedito all’ordine, ogni persona abbandona il suo bagaglio sul posto e, pronunciato il suo nome, se ne va nella direzione che vuole, rivendicando la propria autonomia e dignità. Il risultato è una spianata di bagagli e valigie disperse nello spazio, come avveniva e avviene tutt’oggi con i bagagli di chi affronta un viaggio forzato.  

L’obbiettivo era lasciare nei nostri occhi il senso di una traccia, la traccia dell’esistenza, una traccia umana che prende forma attraverso la sua mancanza, un vuoto che risuona tra i bagagli, non oggetti abbandonati ma tramite per sentire la presenza incorporea di chi li possedeva. Quindi bagagli e valigie dove il confine tra contenuto e contenitore si fonde in ciò che, forse, possiamo chiamare “memoria”.

 

IL PREMIO

Grazie a questo progetto abbiamo vinto il concorso “L’Europa inizia a Lampedusa”, che si poneva l’obiettivo di piantare il seme dell’accoglienza nelle scuole italiane ed ha portato a Lampedusa 200 studenti per parlare di migrazioni e conoscere i sopravvissuti del naufragio del 3 ottobre 2013.

Con quattro ragazzi dell’Istituto ho raggiunto il punto più a sud dell’Europa; abbiamo portato con noi cinque delle nostre valigie, in un luogo dove chi arriva, spesso, ha solo se stesso e ha perso chissà dove il proprio bagaglio…                        

Le nostre valigie hanno quindi “abitato”, anche solo per poco, diversi luoghi dell’isola: le spiagge affollate di turisti, le deserte vie del centro, i sentieri più brulli dell’interno, il mare.

 


Bagagli come tracce della nostra esistenza.
Bagagli e valigie come persone.
Persone come viaggi.
Persone come luoghi, territori, altri mondi,
da esplorare, accogliere, conoscere.

                                                                                 

                                                                                     Makio Manzoni


IL GRINZONE n. 62

 

 

27/01/ 2017f.ssa DeLuca, Prof.ssa A.Riccardo, Prof.ssa M. Pisani, Prof. G.Falanga,   Prof. G.Laborra