Il signore delle mosche



Prima di pubblicare nel 1954, il libro "Il signore delle mosche", Willialm Golding era uno scrittore poco conosciuto al di fuori del mondo anglosassone.
Lo strepitoso successo del romanzo, particolarmente con l'edizione americana, gli procura una notorietà mondiale e gli assicura, nel 1983, il premio Nobel per la letteratura.
È il resoconto delle avventure di un gruppo di bambini e ragazzini inglesi sopravvissuti, su un isola deserta, ad un incidente aereo, durante un conflitto planetario.
Il libro riprende la riflessione della letteratura e del pensiero anglosassone (Hobbes, Defoe, Stevenson, Garland) sullo "stato di natura" e sul "buon selvaggio", sull'uomo messo di fronte alla propria naturalità, sul cuore di tenebra che guida le azioni degli individui.
Quella di Golding è un'antropologia negativa dalle conclusioni sconsolatamente pessimistiche: il gruppo di ragazzini, lungi dallo sperimentare un'organizzazione sociale fondata sulla libertà naturale, sulla innata bontà dell'uomo, sulla collaborazione e sulla solidarietà, finisce per precipitare nel buco nero delle paure, delle insicurezze, dell'istintualità aggressiva e selvaggia, della brama di potere, della violenza distruttrice.
Il "Signore delle mosche" del titolo non è altro che il Belzebù della Bibbia, personificazione delle tenebre e del male, icasticamente e concretamente rappresentato, nel romanzo, con una orrida testa di porco, brulicante di insetti, issata su un palo al centro dell'ormai perduto paradiso terrestre dell'isola.

                                                          

                                                                                              Carlo Amanti


 

William Golding, Il Signore delle mosche, Mondatori Oscar classici moderni.
IL GRINZONE n. 22